Il lavoro dietro l’immagine.
Napoli è, da più secoli, una location privilegiata, utilizzata per rappresentazioni folkloristiche i giorni dispari e fosche rappresentazioni drammatiche i giorni pari.
Già Michele Prisco, se ricordo bene, diceva che Napoli è una città letterariamente abusata. Quando è così c’è poco da fare: Governatori, Sindaci, direttori di giornali e tutti quanti hanno un certo ascolto non possono, se non per brevi momenti, modificare tale condizione.
E’ questo uno dei problemi fondamentali della città, da mettere accanto a quelli più drammatici, con la differenza che forse è fra i meno risolvibili. Ciò non deve impedire, ed anzi deve rafforzare, la volontà di lavorare ed impegnarsi con maggiore vigore, checché ne dicano pittori, scultori, poeti, romanzieri, registi e cabarettisti. Con la consapevolezza che gran parte del lavoro che verrà fatto non riuscirà ad emergere sul piano dell’ immagine e che, quindi, per alcuni versi, non esisterà.
Ma, d’altro canto, cosa altro potremmo fare?
Allora penso che l’occasione della nascita di un nuovo partito, il Partito democratico, che sta mettendo in moto vari settori del mondo politico e della società campana, deve rappresentare un’occasione per allargare lo sguardo all’intera classe dirigente istituzionalmente distinta dalla politica dei partiti ma non alla politica in senso ampio, ossia al governo complessivo della città e della regione.
Fermenti nuovi si colgono e sono, a mio avviso, di grande rilevanza.
La prospettiva aperta, ad esempio, dal Presidente dell’ACEN, Ambrogio Prezioso, contiene elementi di novità perché, fra le tante positive iniziative, rilevantissimo l’accordo con Carabinieri e FAI per un patto antiracket siglato in questi giorni, ciò che più conta è l’idea complessiva che un’associazione economico-sociale deve avere. L’intenzione, ad esempio, di non usufruire soltanto del denaro pubblico ma di concorrere, sia finanziariamente che progettualmente, alla realizzazione di un comune disegno metropolitano: gli imprenditori, la borghesia, la classe dirigente o come altro si voglia dire, non devono appiattirsi sulla politica dei partiti, vivere di politica; non devono contrapporsi, costituendosi come qualunquistica antipolitica; non devono sostituirsi alla politica (efficientismo, decisionismo, etc) ma devono confrontarsi con la politica proponendo soluzioni nuove e facendosi, nello stesso tempo, carico della difficoltà oggettive del processo politico che è poi processo democratico.
Mi rendo conto che questo modello non facilmente si traduce in immagine: è difficile che possa interessare un regista, un poeta o un letterato.
Al massimo può essere oggetto di un noioso documentario televisivo. Ma, d’altro canto, possiamo immaginare che il governo di una città o di un Paese, possano essere esclusivamente determinati dal rimbalzo di immagine che possono avere?
Non sottovaluto, vorrei essere chiaro su questo punto, la forza delle immagini, delle parole che tanto spesso contano più dei fatti. Ma se le parole non ci ubbidiscono, cosa dobbiamo fare?
Ecco perché nel necessario processo di riorganizzazione politica dell’Italia e della città, pur non sottovalutando tutti quegli aspetti che si possono ascrivere alla mitologia politica, essenziale sui tempi brevi, si deve intanto costruire per i tempi lunghi, con pazienza, tenacia e modestia. E’ questo anche il problema del Partito democratico che da un lato deve, come si dice, muovere gli entusiasmi e dunque rappresentarsi mitologicamente ma dall’altro deve sforzarsi di comprendere i processi in atto, assecondarli e, per certi aspetti, guidarli.
La terza via, scelta da molti, di inseguire pettegolezzi e dietrologie mina alla radice il nuovo partito e con esso la democrazia italiana. Sapremo superare questa inguaribile propensione alla meschinità ?
Una sfida difficile ma non impossibile.
Ernesto Paolozzi
da “la Repubblica- Napoli” del 6 agosto 2007 Repubblica archivio