L’importante contributo ideale di Ernesto Paolozzi alla nascita del Partito Democratico.

Domenica 14 ottobre 2007 si è votato in Italia per la prima volta per le primarie del Partito Democratico.

L’afflusso dei votanti ha smentito le previsioni degli esperti, i quali consideravano un arco che andava dagli ottocentomila al milione e trecentomila votanti, mentre il popolo degli elettori effettivi è stato di tre milioni e quattrocentomila, senza contare quelli che si sono presentati a esprimere le loro indicazioni, ma, ahimé, in ritardo e quindi non hanno potuto far salire le cifre già alte. Ed è stato prodigiosamente sorprendente perfino in un contesto come quello napoletano, connotato da una notevole crisi fra opinione pubblica, turbata, se non avvilita da problemi enormi, come quello della spazzatura, che si sono aggravati sotto le amministrazioni di sinistra, e la gestione della (cosiddetta) sinistra degli Enti locali.

L’evento accaduto ha dimostrato agli scettici di destra e di sinistra che nella società italiana è fortemente sentito il bisogno di un cambiamento di strategie politiche a sinistra e della creazione di un soggetto istituzionale in grado di interpretare le attese sia di rinnovamento, sia di calare nel concreto della vita politica una prospettiva non fatta di slogan riduttivi o di racconti da libro dei sogni, ma di calcoli sostenibili da elaborare, in maniera condivisa con gli elettori, senza concedere spazi agli inciuci e alle trastole a cui si deve ricorrere in un ambito terribilmente frazionato e avvelenato dai ricatti dei partitini minori e minimi. In maniera razionale e inequivoca è stata data un’indicazione della volontà di governare il Paese nel segno del progressismo e del riformismo democratico.

La volontà, però, popolare, che si è espressa in maniera compatta a favore della nascita del Partito Democratico, non si è mossa su pulsioni istintive, perché ha potuto disporre di vari referenti, materiali e immateriali, tra cui al primo posto è il dibattito delle idee, che ha sponsorizzato e auspicato l’evento. Pensiamo ai convegni, alle tavole rotonde, agli interventi massmediali non solo televisivi e giornalistici, ma anche on line, alle discussioni sorte nei vecchi partiti, infine ai libri, i quali non sono stati moltissimi, ma, in compenso, spesso non sono mai stati banali o scontati, a partire dal primo, che si assumeva il compito arduo di vaticinare quello che sarebbe accaduto di M. Salvati (Il Partito Democratico. Alle origini di un’idea politica, 2003).

Questa letteratura specifica si dispone fondamentalmente su un asse, quello di recuperare il tempo perduto a sinistra, dal crollo del muro di Berlino in poi, per ripensare e ridefinire l’analisi politica in maniera libera dai condizionamenti e dalle vischiosità degli schemi tipicamente novecenteschi, per fare emergere e verificare ipotesi nuove adeguate alle esigenze della nuova società a livello nazionale e internazionale.

Il percorso in genere seguito è stato di andata dai postulati della giustizia sociale e della solidarietà verso il dialogo con i postulati del liberalismo, fino a un’identificazione piena in questo, come nel caso di M. Cacciari e P. Scoppola (in Sul partito democratico, a cura di R. Racinaro, 2007), o di A. Alesina e F. Giavazzi (Il liberismo è di sinistra, 2007) e di M. Salvati (Il Partito democratico, 2007).

Una posizione nuova e originale, invece, è quella di E. Paolozzi (Il partito democratico e l’orizzonte della complessità, Napoli, Guida, 2007), per l’interpretazione delle questioni prese in esame attraverso la specola della complessità. L’autore, in quanto proveniente da un liberalismo dialettico e responsabile nei confronti delle contraddizioni sociali, non avendo necessità di celebrare, come i neofiti, i valori del liberalismo, ha fatto compiere un balzo in avanti al discorso, mettendo insieme nel crogiolo della complessità le prospettive liberali socialiste e cattoliche, per ricavarne una sintesi di grande respiro, nel segno della consapevolezza e dell’eticità.

A monte di quest’operazione egli colloca l’ermeneutica di E. Morin, su cui egli già si è soffermato con G. Gembillo e G. Giordano in Liberalismo, scienza, complessità (2006). E dà a chi legge suggerimenti e spunti estremamente stimolanti, su cui occorre riflettere approfonditamente.

Ugo Piscopo