Serve un patto per salvarci
Un patto per Napoli. Se fossi un dirigente di una forza politica napoletana, proporrei agli altri partiti, alle forze sociali ed economiche della città e, di conseguenza, all’opinione pubblica, di provare a stendere un progetto di città attorno a pochi punti fondamentali, realizzabili, in grado di riconciliarsi con i cittadini e di rilanciare l’immagine di Napoli in Italia.
Non un patto di governo consociativo. Un patto istituzionale, di concertazione. Ad esempio porre in agenda la questione del federalismo fiscale, il rilancio di Bagnoli e dell’area orientale, il recupero del centro storico. Su questi tre punti, e solo su questi, chiamare a raccolta l’Unione industriali, i sindacati, la stessa Chiesa, gli Ordini professionali.
Perché questo? Innanzitutto, perché la situazione è di emergenza vera, profonda, strutturale.
Appiattire tutto, non mi stancherò mai di dirlo, sulla cosiddetta questione morale o sulla questione amministrativa è un modo, certamente non voluto, di nascondersi la gravità dei problemi, quasi che, non sapendo cosa fare, né del centro storico, né di Bagnoli, né di altro, si scelga di polemizzare attorno agli amministratori della città sfogando, perché spesso si tratta solo di sfoghi, malumori antichi e radicati. I magistrati facciano le loro inchieste, e si traggano giudizi quando queste saranno concluse. Gli amministratori svolgano fino in fondo il loro mandato in attesa del giudizio che gli elettori esprimeranno sul loro operato.
Anzi, poiché alle prossime elezioni non saranno candidati, a Sindaco e a Presidente della Regione, né Rosetta Iervolino, né Bassolino, il giudizio dovremo darlo sui futuri candidati di destra e di sinistra, sui loro programmi e sulla squadra che indicheranno. Ed è su tali questioni che tutti dovremmo impegnarci, staccando la spina del livore, che danneggia innanzitutto i cittadini, che impedisce di ragionare coloro i quali saranno chiamati alle future responsabilità di governo che, in fin dei conti, fa male a chi se ne lascia pervadere. La prima emergenza della città è infatti l’incapacità di noi tutti (non me ne tiro fuori) di uscire dall’analisi paralizzante dei mali passati e presenti per imboccare una strada di proposizione, di collaborazione e di speranza.
Si parla tanto di Obama e della sua volontà di cambiamento.
Ma il punto è che il leader democratico ha trovato una giusta misura fra le critiche al passato e le promesse di rinnovamento. Queste ultime sono state preponderanti rispetto alle prime e, soprattutto, sono state riempite di contenuti e simbolicamente rappresentate con grande efficacia e credibilità.
Si dice che anche a Napoli vi sia qualche autorevole candidato che pensa di proporsi come il cambiamento. Ebbene, lo annunci, dica con chi vuole farlo, come intenda farlo specificando i suoi progetti.
Ecco il senso di un patto per Napoli. Se alcune forze politiche e almeno una parte della città viva e operosa riuscisse a costruire un’idea di rilancio e di sviluppo della città e della regione, anche per gli uomini nuovi sarebbe più facile entrare nel vivo delle questioni, ritrovare quegli interlocutori che sembrano essersi dileguati. E’ solo così che si può sperare di ricreare una classe dirigente della città.
Perché classe dirigente non si identifica con la classe politica.
Ad essa appartengono tutti quanti abbiano una qualche responsabilità nella gestione economica, sociale e civile della società.
Napoli è a pezzi perché sembra crollata in tutte le sue articolazioni, dai deputati e senatori che a Napoli non vengono e che non contano a Roma; al mondo accademico, che si mostra arroccato e impaurito da ogni possibile riforma o novità; fino agli Ordini e alle componenti sociali, divise, lacerate o silenziose. E la lista potrebbe continuare.
A questo punto, o dobbiamo adattarci a un’idea antropologica della città, e dire che siamo tutti, politici, intellettuali, professionisti, magistrati, etc., degli “sfrantummati”, che la camorra, nonostante libri e film, prospera e si pasce del nostro territorio, oppure dobbiamo pensare, come io spero, che si tratta di un momento di crisi superabile, a patto che una leadership politica riesca di nuovo a trovare il bandolo della matassa: a mutare l’agenda politica passando dalla politica delle contumelie e delle calunnie ad una riorganizzazione di se stessa attorno, come abbiamo detto, a poche, fondamentali, questioni.
Ecco il senso di un patto per Napoli che un nuovo soggetto politico soprattutto, ma anche tutti gli altri gruppi, dovrebbe poter proporre per porre fine allo stillicidio continuo, veramente insopportabile, di chi si propone come nuovo e dopo poco diventa vecchio, di chi si presenta come la personificazione della moralità e poi si scopre…
Ernesto Paolozzi
da “la Repubblica – Napoli” del 12 gennaio 2009 Repubblica archivio