Due candidature credibili.
Il centrosinistra e il centrodestra sono riusciti, col fallimento delle primarie del Pd e la farsa delle dimissioni dei consiglieri comunali di opposizione, a combinare tanti pasticci da far ritenere che Napoli non avesse più alcuna speranza sul piano politico e che non le restasse altro da fare che affidarsi ad iniziative provenienti dal resto della società. O consolarsi con il rilancio in grande stile della canzone napoletana ad opera di Turturro e Noa.
Poi, all’improvviso, due avvenimenti sembrano aver dato uno scossone anche alla città politica. Mi riferisco alle candidature a sindaco di Luigi De Magistris e Raimondo Pasquino.
Per la verità queste due candidature hanno messo a nudo, come vedremo, tutta la debolezza della politica napoletana ma, al tempo stesso, potrebbero segnare una svolta significativa.
Si può sostenere ciò che si vuole circa l’impegno di personalità provenienti dalla magistratura, dalla burocrazia, dalla cosiddetta società civile ma è fuori di dubbio che, per storia, per capacità comunicative, personalità e, ormai, esperienza politica, De Magistris appaia agli elettori di centrosinistra come un candidato vincente, capace cioè sia di mobilitare l’elettorato deluso dalla catastrofe delle primarie, sia di recuperare l’astensionismo intercettando perfino il voto di una certa destra stanca del berlusconismo.
Cosa chiedevano, con forza e decisione i quarantacinquemila che hanno votato per le primarie in una brutta giornata di pioggia? Cosa volevano essenzialmente? Indicare, certamente, un sindaco in grado governare bene la città ma anche, è inutile nascondersi dietro un dito, individuare un candidato che potesse riconquistare la città al centrosinistra in un momento in cui il governo nazionale sembra essere dominato dalla Lega di Bossi. Ora, questi quarantacinquemila militanti (che testimoniano un numero impressionante di elettori potenziali) non possono rassegnarsi all’idea che si debbano perdere le elezioni perché i candidati del Pd e i suoi dirigenti non riescono a trovare l’accordo su un nome condiviso e nemmeno si fanno nobilmente da parte per garantire una via di uscita onorevole e autorevole al partito.
De Magistris rappresenta, per questi militanti ed elettori, l’opportunità sulla quale potere ragionevolmente puntare per uscire da questa situazione kafkiana.
Se questo è vero, come è vero, i dirigenti locali e nazionali del Pd hanno solo due opzioni possibili: puntare anche loro su De Magistris e far sentire tutto il peso politico, organizzativo, vorrei dire psicologico, che un grande partito, che ha una lunga storia di governo e anche di opposizione, è in grado di esprimere. La seconda è quella di scegliere un altro candidato, delineare un programma originale e convincente, presentare una squadra di governo credibile e offrirla agli alleati della coalizione e alla città. Scelta da compiere con assoluta urgenza.
Ciò che non è possibile nemmeno immaginare è di continuare a sbarrare il passo ad altri candidati nel nome di norme burocratiche (De Magistris non ha partecipato alle primarie) o travestendo beghe interne e settarismi da nobili posizioni politiche. Ciò significherebbe, probabilmente, il definitivo annientamento del Pd a Napoli, con conseguenze gravissime a livello nazionale.
La candidatura di Pasquino come punto di coagulo per la creazione di un polo alternativo al centrodestra e al centrosinistra è una scelta intelligente e saggia. Anche qui si potrebbe dire che la politica è sconfitta perché è dovuta ricorrere ad un candidato, per così dire, esterno. Ed è in parte vero, perché è difficile pensare che i partiti del nuovo polo non riescano ad individuare, nelle loro fila, un personaggio politico all’altezza del compito. Ma è pur vero che un nuovo raggruppamento ha la necessità di evitare che il suo atto di nascita sia contrassegnato da laceranti polemiche interne che ne mettano in forse la vita. Un candidato unitario deve necessariamente avere un profilo politico debole e personalità e storia tali da poter rappresentare tutti.
Se le due candidature andassero in porto, il centrodestra dovrà, probabilmente, darsi una scossa, mettere in campo un candidato all’altezza della situazione perché è evidente che in queste condizioni il rischio che una proposta debole conduca alla sconfitta elettorale è molto alto. Un candidato, un programma e una squadra in grado di fronteggiare le due “novità” politiche concretizzatesi all’orizzonte.
Sappiamo bene che un conto è la politologia e altro è la politica concreta: non sempre si vuol vincere. Non sembri paradossale. Qualche volta la vittoria di un amico può essere molto più dolorosa di quella di un nemico.
Non la pensano così, ovviamente, gli elettori. E non dovrebbe pensarla a questo modo la classe dirigente della città. C’è l’occasione allora di aprire un largo dibattito, risuscitare nuove passioni, di uscire dal circolo vizioso nel quale i partiti ci avevano precipitato per mettere in moto un ciclo virtuoso.
Solo la forte pressione dell’opinione pubblica e degli strumenti che la orientano, mass media, associazioni, possono, forse, imprimere una svolta positiva al terribile declino politico in cui la città sta soffocando. E che lo stimolo non venga dalla politica stessa può rammaricare chi, come noi, crede fortemente al primato della politica, ma vi sono momenti in cui ciò che sembra antipolitica è in realtà l’unica politica possibile.
E’ questo il primato della politica.
Ernesto Paolozzi
da “la Repubblica-Napoli” del 8 marzo 2011 Repubblica archivio