Giovanni Malagodi: lo stile dell’uomo.

giovanni malagodi

Aderii al Partito liberale italiano giovanissimo, dopo avere avuto un’esperienza di impegno politico, al liceo classico “Giambattista Vico” di Napoli, nelle file del movimento contestativo nell’immediato post-Sessantotto. L’adesione al liberalismo fu maturata per l’influenza culturale e politica del commediografo e poeta napoletano Gaetano di Maio, di Alfredo Parente e di Raffaello Franchini, studiosi di rigorosa osservanza crociana.

Non è possibile parlare di vera e propria conversione, giacché del Sessantotto io ed un gruppetto di amici avevamo accolto essenzialmente lo spirito libertario, per questo fu per noi una grande, positiva sorpresa scoprire che per taluni aspetti quello spirito era più vivo, alla fine degli anni Settanta, nel nuovo partito liberale che s’identificava in Valerio Zanone piuttosto che fra la sinistra che presentava evidenti caratteri tipici del burocratismo totalitario. Valerio Zanone aveva impresso al partito una svolta radicale, che sarebbe poi culminata in quella che fu la prima collaborazione governativa fra liberali e socialisti riformisti.

Con Antonio Patuelli, e con altri poi, la gioventù liberale si ricostruiva acquistando una sua fisionomia chiara, precisa, estremamente vivace, profondamente anticonformista in quel momento storico dominato da furori contestativi e mortificanti accordi fra comunisti e cattolici.

Tutto ciò racconto non perché siano importanti le mie vicende personali, ma per poter aiutare a comprendere quale fu per noi l’impatto con la potente personalità di Giovanni Malagodi. E’ evidente che chi proveniva, come noi, da quelle esperienze politiche, il senatore, come sempre lo chiamammo, rappresentasse in quel momento il passato del liberalismo italiano. Un passato rispettabile, profondamente rispettabile, come quello di Croce e di Einaudi ma, appunto, passato. Si sentiva ancora la eco dello scontro generazionale che si era consumato poco prima nel piccolo partito, per cui la nuova classe dirigente era, per tanti aspetti, diversa da quella dei tempi del sentore. Eppure, la personalità di Malagodi era sempre e comunque presente, in ogni momento della vita politica liberale. Non solo, ma nei momenti di crisi o di incertezza, Malagodi tornava, ancora, ad essere il punto di riferimento, dei più vecchi come dei più giovani. Malagodi era sfuggito, dunque, al destino che accomuna tanti uomini politici: diventare padri nobili ma inascoltati.

Col tempo la collaborazione con Zanone s’intensificava e anche i più giovani, fra i quali io stesso, ritornavano a dialogare col grande liberale. Malagodi mi intimò un giorno di non dargli mai del liberale storico, perché allora avrebbe sentito veramente vicina la fine della sua attività politica. E così, poco alla volta, Giovanni Malagodi, finiva con l’incalzare i suoi interlocutori, con lo scavalcarli perfino, se è lecito usare una così brutta espressione, sul terreno della modernità.

Ed è in questo luogo, quello della modernità e attualità del pensiero malagodiano, ch’io vorrei soffermarmi, utilizzando anch’io gli appunti (la scaletta) che il senatore mi lasciò nel 1988 dopo un importante discorso tenuto a Napoli perché lo si potesse discutere fra i gruppi di giovani liberali. Già allora egli si poneva la questione della utilità di un partito liberale e del liberalismo stesso in una fase nella quale tutti ormai si dicevano liberali. Dal che faceva scaturire un diffuso pessimismo fra gli amici del partito. Ma immediatamente rispondeva con quella che poi, come amava ricordare, era diventata una sua ossessione, ossia che non era vera che ci si potesse dire tutti liberali e che invece era necessario ridefinire i compiti del liberalismo e del partito: “Ripropongo, diceva, la mia fiducia nel riprendere a pensare”. Citava, subito dopo, un Croce minore, segno della sua profonda cultura, il Croce delle Pagine sparse del 1914, nelle quali il filosofo scriveva: “Tutti i migliori uomini di Francia, dopo il 1870, giudicarono che la Francia aveva preluso ai disastri di quell’anno con l’inferiorità del suo lavoro intellettuale”. Aggiungeva Malagodi: “Non sono quindi solo nel mio giudizio sulla necessità di riprendere a pensare”.

Quali erano i temi, le grandi questioni, su cui egli ci invitava a pensare? La connessione fra la nostra Italia, la Comunità europea e i grandi problemi mondiali, soprattutto dei paesi più poveri e lontani. Ci invitava a riflettere sulla necessità di ricostruire un sistema di valori liberali fondato sui diritti dell’uomo che potesse attraversare queste regioni politiche, cercando di essere, come avvertiva, attenti sia al processo generale, sia alle più minute questioni di politica quotidiana. SI spingeva a citare il Papa, utilizzando le parole del pontefice contro l’egoismo dell’uomo contemporaneo per cercare di porre un freno all’espandersi incontrollato del capitalismo al di fuori delle regole della democrazia e del liberalismo.

Non c’è necessità di continuare a seguire la “scaletta” del senatore, perché da queste generali premesse si desume immediatamente l’attualità e la modernità di quella che già allora appariva come una serrata critica di ciò che oggi denominiamo con estremo semplicismo “globalizzazione dell’economia”. Certo, non possiamo iscrivere Giovanni Malagodi fra i precursori del popolo di Seattle, sebbene la sua sottile ironia non gli avrebbe impedito di misurarsi anche con i toni roboanti del movimento. Ma ciò che possiamo dire con sicurezza, considerando la sua attività nell’Internazionale liberale, i suoi scritti e i tanti suoi interventi, è che il vecchio senatore compiva l’ultimo grande sforzo della sua vita, quello di cercare di identificare una specificità del liberalismo fra i radicalismi di una sinistra orfana del comunismo, gli eccessi di un liberismo reso tracotante dalla sconfitta del comunismo ed una scialba versione della liberal-democrazia quale quella che ancor oggi affligge la nostra classe dirigente che fatica a ricominciare a pensare.

Malagodi, rispettatissimo ed ascoltato molto più all’estero che in Italia, fu fra i primi a porre la questione del rispetto della privacy nel mondo della tecnologia avanzata. Ebbe il coraggio di guardare senza preconcetti agli sviluppi dell’ecologismo. Si aprì a tutte le nuove esperienze culturali liberali senza per questo mai abbandonare le sue forti radici culturali, italiane, risorgimentali, senza nessuna iattanza, senza alcun complesso.

Ma per molti di noi e, credo, per molte generazioni, Giovanni Malagodi fu anche uno stile. Tollerante come non può non essere un liberale, senza che mai la tolleranza divenisse in lui una banale o vile acquiescenza nei confronti dell’avversario politico. Aristocratico, certamente, ma di un’aristocrazia che non gli impediva di essere più vicino ai giovani che ai tanti potenti con i quali, pure, dialogava tutti i giorni.

Quando fondammo, con giovani amici non solo liberali, un’associazione intitolata a Giovanni Amendola, ci inviò immediatamente un assegno che era la sua quota di semplice iscritto ed assieme una lettera di appunti per indicarci quelle che erano per lui le priorità del momento. Questi semplici gesti servirono, come è facile comprendere, a creare un entusiasmo e, per certi aspetti, un senso profondo di appartenenza che oggi è assai raro ritrovare nella vita politica. Viviamo, si dice da più parti, nell’epoca della crisi delle ideologie. Ma la crisi delle ideologie, se diventa crisi degli ideali, è crisi dell’uomo in quanto uomo, della civiltà in quanto civiltà di valori che si urtano e si scontrano nella sana e forte dialettica della storia.

Con Giovanni Malagodi perdemmo, dieci anni fa, uno dei pochi rappresentanti di quel liberalismo laico e religioso, di una religione politica naturalmente, di cui oggi si sente amaramente la mancanza. Ancora oggi tutti continuano a dirsi liberali, ma ancor più che nel lontano ’88, il liberalismo è confinato in libri e riviste e ad esso manca quel necessario braccio politico che è un partito. Anche Croce, con felice contraddizione, aveva teorizzato che il liberalismo fosse un prepartito della cultura ma poi aveva lavorato alla rifondazione del partito liberale italiano. Oggi, certo, con un sistema elettorale completamente cambiato, in condizioni politiche nelle quali lo scontro e l’urto avviene sempre più fra due grandi, eterogenee, coalizioni, è impensabile la ricostruzione di un partito nel senso tradizionale del termine. Ma la vera, grande battaglia politica si svolgerà, almeno ci auguriamo, nel più vasto campo della Comunità europea che va allargandosi anche ai paesi ex- comunisti dell’Europa dell’Est. Forse è in questo ambito che i liberali potranno trovare una loro nuova ragion d’essere, una nuova e più forte identità. In questo percorso che, ci auguriamo ancora, costringerà la politica italiana a riprendere slancio e iniziativa morale, in questo nuovo percorso che noi liberali dovremo intraprendere, un punto di riferimento sarà ancora Giovanni Malagodi, che ci ha lasciato in eredità quello splendido libro che sono le Lettere senesi a un cittadino d’Europa.

Ernesto Paolozzi

Da “Libro Aperto”, aprile-giugno 2001


Si rimanda all’articolo ” Modernità di Malagodi” a dieci anni dalla morte Da “Corriere economia” del 17 settembre 2001              https://www.ernestopaolozzi.it/lattualita-vincente-per-connotare-leredita-di-giovanni-malagodi/