Il laboratorio campano del partito della nazione
Repubblica – 22 settembre 2010 pagina 1 sezione: NAPOLI

«Noi  d o b b i a m o » , scriveva il ministro liberale Guido Cortese nel dopoguerra, «assiduamente verificare se la politica generale, in ogni campo, da quello tributario a quello dell’ industria a quello delle partecipazioni statali, del commercio dell’ estero, dell’ agricoltura, della pubblica istruzione e così via sia oppur no coerente con gli obiettivi di una risoluta e costante politica meridionalistica».

Possiamo ritenere, con fondatezza, che negli anni successivi raramente la politica ordinaria dei governi nazionali sia stata favorevole al Mezzogiorno d’ Italia. Soltanto un bambino, o un opportunista, può ritenere che governi egemonizzati dalla Lega del Nord possano, in qualche modo, contribuire allo sviluppo del Mezzogiorno d’ Italia. Semmai è vero esattamente il contrario. L’intervento straordinario non copre, né ha mai coperto, la mancanza di un intervento ordinario da parte dei vari governi italiani. Quando anche non ci fossero stati gli sprechi e le ruberie che, pure, ci sono stati, il divario fra le due aree del paese non avrebbe potuto essere colmato in assenza di politiche nazionali eque e, forse, anche intelligenti. Questo è il problema. Spostare la questione riportandola sul terreno delle più volgari discussioni da bar o da osteria, sull’ antropologia dei meridionali e, di rimbalzo, su quella dei settentrionali, rappresenta un atto di incoscienza politica. Può far colpo. Può far vendere qualche copia in più di un libro o di un quotidiano ma avvelena gli animi, la vita. E rischia di bruciare letteralmente il futuro di molte generazioni, al Sud come al Nord. Penso che i moniti di Napolitano siano ispirati fondamentalmente da simili considerazioni. Mi augurerei, ma non ci credo, che le classi dirigenti del Sud e del Nord prendessero coscienza della gravità della situazione.

Piuttosto, alle vecchie questioni sollevate dai Cortese, dai Compagna, su fino ai Giustino Fortunato, se ne devono aggiungere altre, forse anche più gravi. La prima è questione di geopolitica. In un mercato mondiale così allargato, con flussi economici in così rapida trasformazione, vale ancora la pena porsi il problema della parte meridionale della penisola italiana? Il che significa, in positivo, è possibile pensare al Mezzogiorno fuori da un contesto nazionale e sovranazionale? Sembra proprio di no. Seconda questione, di politica nazionale. Interessa al Nord, da un punto di vista economico, una reale ripresa del Sud e, in secondo luogo, è veramente tanto avanti il Nord da potersi misurare con il problema meridionale? O meglio: proprio perché anche il Nord è in crisi la questione dovrebbe essere affrontata con intelligenza e senso di responsabilità.

Ma tutti sappiamo che, nei momenti di crisi, la cosa più difficile da fare è non aver paura e provarsi a essere lungimiranti. Per questo motivo dalle crisi si esce con difficoltà e, qualche volta, accade che esse si tramutino in tragedia. Riterrei che, in prossimità delle elezioni comunali e, probabilmente nazionali, i partiti, o qualche partito, si pongano con rigore (vorrei dire con drammatica urgenza) di fronte alle questioni che abbiamo posto. Si parla della Campania (ma anche della Sicilia) come di un possibile laboratorio per avviarci fuori dalla attuale condizione politica. Condizione che rappresenta, diciamocelo tutti, il livello più basso mai raggiunto dalla caduta del fascismo. Bene. Per evitare che i laboratori si tramutino in vecchi casini, bisogna sfidare i partiti su questioni concrete. Quella del federalismo innanzitutto.

Un lettore di “Repubblica” nel mese di agosto scriveva a Corrado Augias: «Le parole sono importanti, il modo di definirsi è decisivo. Questi elementi  nascondono spesso, soprattutto in ciò che non si dice, i limiti culturali che oggi attraversano non solo il centrosinistra italiano, ma l’ intera scena politica del nostro paese (…) E se il federalismo, così come si viene disegnando in Italia, tanto per cominciare, fosse una drammatica sciocchezza? In fondo, le Regioni hanno dato in questi decenni complessivamente, nella media nazionale, pessima prova, e la qualità dell’ amministrazione pubblica è peggiorata con la devoluzione dei poteri (…). Dobbiamo proprio consegnarci alle parole chiave degli altri, a partire da quelle della Lega? E se decidessimo di essere il Partito Democratico Italiano, per andare più coraggiosamente in Europa e per ricostruire un senso di identità nazionale che abbiamo intanto perso?».

Giro queste domande a tutti i partiti campani, al Pd e, soprattutto, ai dirigenti locali dell’ Udc, che ambisce a essere il partito della nazione. E, se di laboratorio si tratta, dunque di novità da proporre al resto del paese, la domanda va estesa anche ai rappresentanti locali del Popolo delle libertà. E chissà che così non possiamo ritrovare quella speranza che, a dire del Cardinale di Napoli, la città ha perso.

– ERNESTO PAOLOZZI

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