Serenella Baggio, “Niente retorica”. Liberalismo linguistico nei diari di una signora del Novecento, Università degli studi di Trento – Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Filologici, Trento, 2012, pagine 631, euro 15.
“Niente retorica”. Liberalismo linguistico nei diari di una signora del Novecento. Ecco il titolo, per taluni aspetti sorprendente, di un originale ed interessantissimo volume di Serenella Baggio dedicato all’analisi linguistica, storica e politica dei Diari di Elena Carandini Albertini, sposata con Niccolò Carandini uomo politico ed intellettuale liberale, figlia di Luigi Albertini, il celebre direttore del “ Corriere della sera”, e nipote del commediografo Giuseppe Giacosa .
Perché liberalismo linguistico? Se il liberalismo rappresenta, come io credo, una concezione della vita e non un insieme di dottrine economiche o giuridico- istituzionali, è per tanti aspetti un linguaggio, se per linguaggio si intende, modernamente, l’indistinguibile insieme di strutture linguistiche e creatività espressiva, di sincronia e diacronia, di langue e parole.
In questa prospettiva il linguaggio rappresenta, conosce, crea in ultima istanza, la realtà. Come aveva intravisto Vico e hanno, poi, argomentato con rigore filosofico ed esperienza linguistica Croce e De Saussure con altri, nel Novecento, la rappresentazione linguistica (come ogni altra espressione artistica) non si riduce ad un puro travestimento formalistico dell’autentico sentire filosofico, estetico, etico- politico, ma ne coglie l’essenza e la rappresenta come tale. Altrimenti è retorica.
La retorica è la nemica giurata, dunque, di chi si ispira ad una visione del mondo liberale. Basterebbe questa semplice costatazione per autorizzare a parlare di liberalismo linguistico. Serenella Baggio coglie questa peculiarità nella prosa accurata, colta ma semplice, familiare, di Elena Carandini , uno stile spontaneo che emerge naturalmente dal suo ambiente liberale. “Eravamo, dirà la Carandini, una gens di elevato spirito borghese, contrapposto a quello dell’alta borghesia e dell’aristocrazia”. Scrive Serenella Baggio:
“Elena non era un’ attivista, né un’ideologa, tantomeno una femminista; la politica faceva parte da sempre del suo quotidiano, era materia delle conversazioni in famiglia con il padre e con il marito, ne leggeva sui giornali, italiani e stranieri, ne discuteva con familiari e amici nel suo salotto e in altri, o nelle redazioni dei giornali a cui il marito collaborava e, per alcuni anni, quelli dei diari qui esaminati, quando il marito coprì incarichi politici ai più alti livelli della dirigenza nazionale, Elena si mosse in un milieu prevalentemente politico. (…) Così la sua scrittura è antioratoria quanto è antiletteraria; ho preso a titolo il suo pregnante ‘Niente retorica’. L’italiano, nella dimensione più provinciale del nazionalismo linguistico era, al contrario, una lingua oratoria sulle piazze e libresca nelle scuole; questi i due sensi della parola retorica, nel giudizio negativo di Croce.”
Una prosa, dunque, che testimonia col suo stesso esistere l’opposizione al regime fascista, alla prosa bolsa e adulatrice della stampa ufficiale, a quella di origine dannunziana con la quale si arringano le folle nella piazze italiane.
Non sfugge, peraltro, all’attenta Elena, la difficoltà che incontrerà la prosa liberale, possiamo ormai così definirla, nell’impatto con la società di massa che si profila nell’immediato dopoguerra, una volta che il primo regime di massa conosciuto in Europa aveva sostanzialmente modificato le regole di quella che oggi definiremmo la comunicazione politica. Lo stesso celebre discorso di Croce, tenuto il 21 settembre del 1944 al teatro Eliseo, le appare purtroppo incolore e pronunciato in modo impacciato tanto da togliere efficacia ai periodi, così lunghi e succosi, tutti incisi e logici concatenamenti.
Che Croce non fosse un oratore particolarmente brillante è noto (lo stesso filosofo ne era consapevole) ma è meno scontato che la sua prosa potesse risultare inefficace.
Quella prosa, come ricorda la Baggio, che un acuto linguista come Giacomo Devoto aveva collocato accanto a quella di Machiavelli, Galileo e Manzoni, che un grande critico come Debenedetti aveva così apprezzato e che, aggiungiamo, dalla sponda politica opposta aveva colpito Antonio Gramsci il quale proponeva, appunto, di collocare la prosa scientifica di Croce accanto a quella di Galileo più che a quella letteraria di Alessandro Manzoni.
Ma è evidente che Elena Carandini percepisce la inadeguatezza politico-comunicativa della prosa crociana come, per estensione, di quella del mondo liberale che aveva frequentato da giovane. Se è vero quello che abbiamo detto all’inizio, ossia che il linguaggio esprime un’ essenza, un mondo, bisognerà riflettere attentamente su queste notazioni che mostrano come, malauguratamente, la cultura politica liberale italiana non riuscì a mettersi in sintonia con le nuove prospettive che l’avvento dei partiti di massa proponeva una volta caduta la dittatura. Questione ancora oggi in parte irrisolta.
Il libro della Baggio, che nell’ultima parte fornisce un’analisi linguistica attenta e acuta dello svilupparsi della lingua italiana in quegli anni, è anche per tanti aspetti una ricostruzione storica e politica di un ambiente culturale, quello liberale, dal primo Novecento agli anni del “Mondo” di Mario Pannunzio ricca di notizie , di ritratti, di caratteri, di notazioni e riflessioni di assoluto interesse.
Ernesto Paolozzi
Da “Libro Aperto”, Numero 78, luglio – settembre 2014