Bioetica: Chi decide della vita nell’ora estrema
Alla Camera dei deputati, il 16 novembre, si sono chiusi i termini per la presentazione di emendamenti alla proposta di legge intitolata “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”. Già approvato dal Senato, il testo unificato dovrebbe fissare i principi e le norme per consentire a ogni cittadino di decidere ora per allora, in piena coscienza e autonomia, circa i trattamenti medici da subire o non subire nell’ora estrema.
Si tratterà in sostanza di anticipare le proprie dichiarazioni, di stabilire le proprie direttive di vita, sulla base del principio che ogni persona ha il diritto di essere protagonista nelle scelte riguardanti la propria salute, quel bene-salute tutelato dalla Costituzione come fondamentale e che i medici curano e soccorrono quando richiesti. L’opinione pubblica è ormai convinta della necessità di una norma in merito. A questa maturazione ha contribuito prima il caso di Piergiorgio Welby, con la sua consapevole, drammatica e lucida richiesta di non voler più aderire al trattamento sanitario a cui era soggetto, ritenendolo ormai un’innaturale imposizione, ai limiti dell’accanimento terapeutico. Poi, il caso di Eluana Englaro, donna in stato vegetativo persistente, quindi incapace di farci conoscere la sua attuale volontà circa la nutrizione e l’idratazione forzata a cui era stata sottoposta a seguito della prescrizione di un medico nutrizionista. Casi questi, che insieme a tanti altri meno noti, hanno rilanciato il dibattito bioetico pubblico sulle cosiddette “decisioni di fine vita”, soprattutto sulle dichiarazioni anticipate di trattamenti a cui si vorrebbe o meno esser sottoposti nella futura situazione di vita terminale.
Alla Camera, per riconoscimento dello stesso relatore Di Virgilio (Pdl), il dibattito in commissione è stato libero, dialogante, ampio e senza costrizioni, proprio come meritava del resto un tema delicato, dalle molte sfaccettature, di grande sensibilità, che suscita tanta attenzione e attese sia tra i cittadini che tra i medici. Non si è voluto, però, procedere all’elaborazione di un nuovo testo, mediante l’istituzione di un comitato ristretto, aprendo soltanto i tempi per eventuali emendamenti a quello già licenziato dal Senato. I termini etici e medici in gioco in un confronto, ormai diventato soltanto politico, sono chiarissimi.
Da un lato, ogni medico a cui capitasse di curare un malato in situazione finale, dovrebbe comunque già astenersi, per motivi professionali, dall’ostinazione in trattamenti da cui non si potrebbe fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita. Dall’altro, ogni malato, anche in situazioni di salute precarie e terminali, dovrebbe comunque essere informato per aderire o non aderire consapevolmente, ovvero per acconsentire o meno alle proposte terapeutiche esposte in scienza e coscienza dal professionista. In ultima istanza, a decidere della nostra vita non può essere né la società, né tanto meno il medico, ma sempre e comunque noi stessi, autonomamente e liberamente, anche dettando orientamenti da seguire nel caso non fossimo più coscienti. Tutto questo ricorda il dibattito parlamentare in corso sul testo di legge. Tutto questo ricorda la branca della bioetica che s’interessa appunto della bioetica di fine vita, nelle sue tante, tantissime eventualità e configurazioni.
Come osserva Ernesto Paolozzi nel suo ultimo libro ( La bioetica. Per decidere della nostra vita, Christian Marinotti edizioni, Milano 2009) – che sarà discusso alle 17 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici in via Monte di Dio 14 da Clementina Gily, Raffaele Prodomo e Giuseppe Reale – le pur oggettive differenze di culture e sensibilità, sia etiche che politiche, non possono mai tradursi in norme assunte a “furor di maggioranze”. Le norme con rilevanza morale devono essere ampiamente condivise, e perciò non possono che ruotare intorno a valori compatibili in un civile dibattito, seppur argomentati da prospettive diverse o addirittura alternative. Se non saranno mai la scienza e la medicina in sé a determinare il nostro futuro, bensì gli orientamenti scientifici e tecnici assieme alle nostre singole scelte etiche, politiche ed economiche, in quell’orizzonte d’incertezza che è la storia complessa dell’umanità, anche per le imminenti decisioni anticipate di trattamento sanitario, urge una bioetica senz’aggettivi, né cattolica né laica, ovvero una bioetica finalmente sottratta alla lotta ideologica e alle strumentalizzazioni politiche.
Pasquale Giustiniani
Repubblica – 20 novembre 2009 pagina 1 sezione: NAPOLI