Una Rivalutazione della Filosofia di Benedetto Croce
Emanuel L. Paparella, Ph.D.

“Tutta la storia è storia contemporanea”
Benedetto Croce

Da più di due decenni, a cominciare dagli anni ‘90, in ambienti accademici americani si assiste una sostenuta rivalutazione dello storicismo filosofico di Benedetto Croce, stimolata dall’ermeneutica di Hans Georg Gadamer e la divulgazione di Giambattista Vico da parte di Giorgio Tagliacozzo e Donald Phillip Verene compiuta negli anni ‘70 e ‘80. C’è poi da ricordare l’avvento e la grande influenza esercitata del pensiero post-moderno negli anni 90.
Negli anni ‘70 era di rigore criticare il Croce Hegeliano ed idealista interprete della filosofia della storia di Vico. Si dava per scontato che l’approccio idealista di Croce deformava in qualche modo la filosofia di Vico assumendo che il pensiero concettuale è sempre superiore ad ogni altra forma di pensiero. Questa interpretazione è sostenuta nella mia stessa Tesi sul concetto di Provvidenza in Vico, scritta alla Yale University negli anni ottanta e poi in due libri sullo stesso concetto (Vedere The Paradox of Transcendence and Immanence in Vico’s Concept of Providence, Yale University 1990, e Hermeneutics in the Philosophy of Giambattista Vico, Mellen Press, N.Y., 1993; e A New Europe in Search of its Soul, Authorhouse, Indiana, 2005). In queste pubblicazioni sostenevo che Croce aveva messo troppa enfasi sull’aspetto immanentistico del concetto di Provvidenza in Vico a scapito del suo complementare aspetto trascendentale.
Tuttavia, alla luce dell’ ermeneutica di Hans-George Gadamer ( Wahrheit und Methode), e dello storicismo di Carlo Antoni (Commento a Croce) Raffaello Franchini (La teoria della storia in Benedetto Croce) Ernesto Paolozzi (Benedetto Croce, logica del reale e il dovere della libertà) Fulvio Tessitore (Introduzione allo Storicismo), e di David Roberts (Nothing but History), tale critica ha subito una lenta mutazione nel senso di una rivalutazione del pensiero crociano negli USA. L’analisi di questa rivalutazione costituisce il modesto compito di questo saggio.
Da un lato, per la verità abbiamo assistito ad una reinterpretazione non condivisibile e superficiale: si potrebbe menzionare il tentativo di alcuni critici dello storicismo (specialmente i seguaci della filosofia di Leo Strauss) di negare ogni vestigio di storicismo sia in Vico che in Croce, trasformandoli in classici neo-Platonici , sussumendoli alla filosofia di altri filosofi, in tal modo privando i due filosofi italiani della loro unicità come filosofi della storia e pionieri dell’ermeneutica. C’è poi il pensiero post-moderno; qui bisogna tener conto che negli ultimi trent’anni, il mondo accademico Americano, sotto influenza dei filosofi post-metafisici, Heidegger, Derrida, Foucault, Rorty, ha attivamente contribuito alla demolizione di quel che in filosofia si definisce come “pensiero fondazionale,” ovvero pensiero che rintraccia le sue fondamenta originarie. Il pensiero post-moderno sostiene che non esistono essenze sovra-storiche, fini permanenti ed eterni, identità e significati durevoli e tanto meno verità eterne. Indubbiamente tali asserzioni sulla fine della metafisica possono essere rintracciate nello stesso Kant. Ma Kant è sempre risultato congeniale, se non proprio accettabile, al milieu accademico Anglo-Sassone. Al contrario, lo storicismo di Croce ha avuto un impatto molto limitato, anche ammettendo che i suoi scritti sull’estetica erano in voga dai primi decenni del Ventesimo secolo. Dopotutto, il senso della coscienza storica e dello storicismo non ha mai trovato un terreno abbastanza fertile per mettere radici profonde nel mondo accademico Anglo-Americano. Alcuni collegano l’avversione per la storia al pensiero empirista e anti-razionalista di David Hume, e ciò è ben comprensibile. Quel che rimane strano ed incomprensibile è il fatto che oggi lo storicismo, nella sua veste post-moderna ed anti-metafisica sia accolto così entusiasticamente, con la possibile eccezione degli Struassiani, come su accennato. Vari scrittori con tendenze radicali hanno fatto uso selettivo del pensiero anti-metafisico con elementi storicistici, per attaccare quelle strutture sociali a loro non gradite. Eppure, un’analisi adeguata del post-modernismo rivelerebbe che esso non è tanto originale come generalmente si ritiene. Il post-modernismo ci riconduce all’antica opposizione romantica al razionalismo e alle interferenze con il pensiero intuitivo, con la spontaneità e la libertà rintracciabili in Rousseau, come pure ai critici del razionalismo e del culto della scienza come Emerson e Thoreau in America e Bergson in Europa.
Dopo questo breve preambolo siamo giunti al punto cruciale del nostro argomento rivalutativo, vale a dire, alla storia concepita da Croce come una sintesi dell’universale e del particolare. Tale sintesi è considerata una specie di ossimoro dagli Straussiani e da altri estremi razionalisti, ma gli storicisti la considerano un apparente paradosso: sintesi da mantenersi in continua tensione. Roberts nel suo libro, Nothing but History allude al fatto che la critica post-moderna alla metafisica e alla razionalità è annunciata dal grande scrittore Edmund Burke che si oppone alle eccessive astrazioni della razionalità dando enfasi alla necessità delle particolari circostanze della storia, senza per questo eliminare del tutto la razionalità. Burke non permette che il senso delle particolarità della storia soprafaccia il senso della continuità della storia. La libertà che Burke difende rimane sempre inseparabile dall’ordine sociale, mentre la dimensione, la “quantità” della libertà o dell’ordine viene decisa dalle particolari situazioni storiche. Burke rimane uno scettico riguardo ad una astratta concezione dell’universale come concepita dalla mentalità giacobina della rivoluzione francese, e non solo si rifiuta di negare quel che è normativo nella storia umana ma afferma anche una norma universale del bene e del male che non scaturisce dal tempo o dallo spazio. Paradossalmente, tale norma si incarna e viene conosciuta dall’uomo sole attraverso le particolarità della storia.
Questo è il nodo della questione: come il Vico ci aveva già fatto notare attraverso i suoi corsi e ricorsi storici, la mentalità pre-storicista rimane incapace di concepire una sintesi dell’universale con il particolare e crede che l’universale sia distinto dalle particolarità della storia , da ciò che è in continuo flusso ,in mutamento . Per la mentalità pre-storicista l’universale ed il particolare si escludono reciprocamente. E ciò spiega perché anche i grandi della filosofia antica, benché si trovino al terzo corso storico delle tre ere Vichiane non pensavano che la storia od il pensiero storico o la coscienza storica conducessero alla verità. Tuttavia, lo storicismo di Burke come quello di vari pensatori tedeschi (Heidegger, Gadamer ed altri) e specialmente gli italiani, Vico e Croce apre tutta una nuova prospettiva in cui il bene morale può essere percepito come una qualità universale posseduto da un numero infinito di diverse azioni umane. In altre parole, l’universalità morale pur rimanendo tale, allo stesso tempo si inserisce nell’esperienza umana in forme particolari come specifiche azioni che attuano il bene. Il trascendente si rivela attraverso la storia diventando immanente in essa. Vale a dire che “l’universale concreto” contraddice l’antico concetto astratto come pure il culto del particolare come autosufficiente. In un certo senso, anche quando viziato da un eccessivo intellettualismo, come quello di Hegel, lo storicismo si oppone al razionalismo come pure all’universalismo dell’Illuminismo. La violenta reazione a questa ricostituzione filosofica della sintesi particolare/universale sfocia poi nel positivismo scientifico del Diciannovesimo secolo. Risulta interessante che Vico non chiama il suo opus “nuovo umanesimo” di cui ne rappresenta il culmine post-rinascimentale, ma “nuova scienza.” A questo punto il lettore potrebbe chiedere: ma cos’è questa coscienza storica sconosciuta agli antichi Greci? Succintamente, si potrebbe rispondere che essa sia una coscienza del passato che continua nel presente, ovvero il senso della storicità, della natura storica dell’hic et nunc, la consapevolezza che l’esistenza umana è una totalità vivente che si manifesta attraverso innumerevoli generazioni in un cambiamento continuo che si attua nella continuità della storia. Anche se il particolare individuo non ne è sempre consapevole, il suo pensiero, la sua immaginazione, le sue azioni sono in gran parte plasmati dalla storia. Dunque se è vero che l’uomo crea la storia (e dunque può conoscerla con più certezza che la natura che non è stata creata da lui), è altrettanto vero che la storia crea l’uomo. Come afferma Croce: tutta la storia è storia contemporanea.
Quando al principio del ventesimo secolo Benedetto Croce ripropose lo storicismo Vichiano, il positivismo era al suo vertice e dominava le correnti intellettuali dell’Europa. Allo stesso tempo, nel mondo accademico Anglo-Sassone c’era un’avversione per tutto quel che riportava all’idealismo tedesco. Come già menzionato, l’eccezione era l’estetica di Croce che era in voga e discussa dappertutto anche se non ben capita. Poi dopo la morte di Croce la sua influenza in America declinò progressivamente almeno sino agli anni ‘90.
Venticinque anni dopo la mia stessa critica a Croce interprete di Vico sono giunto ad una cruciale rivalutazione, e sono ora convinto che se il pensiero crociano fosse stato considerato, accettato e ben assorbito, molti dei problemi del post-moderno non esisterebbero, o per lo meno sarebbero ben differenti. Una lettura attenta delle opere più filosofiche di Croce ci rivelerebbe ben presto che lo storicismo Crociano aveva già anticipato molte delle preoccupazioni della filosofia post-moderna senza però cadere nella trappola delle sue debolezze.
Una delle debolezze del post-moderno è che esso ha ereditato ed elevato a posizioni estreme ed anche assurde la romantica opposizione al razionale e alla rigidità estetica e morale. Anche se ammettiamo che le strutture umane sono assillate da norme transitorie, arbitrarie ed oppressive, tuttavia il post-moderno non riesce ad immaginare strutture alternative sia pure transeunte. Un’altra fragilità consiste nel non riuscire a comprendere che la vita si sviluppa attraverso processi evolutivi ma anche durevoli ; ovvero la vita è contingente e non-contingente, coerente e non-coerente; non è una questione di o/o ma di e/e. Il particolare non esclude necessariamente l’universale. Che la vita possa possedere un fine eterno ma che poi si manifesti in differenti modalità nel tempo e nello spazio, secondo differenti individui e differenti circostanze, sembra una gran illogica contraddizione per il post-moderno. Per esempio, il decostruzionismo Derridiano è fiero di quel che considera una sua gran scoperta: che non esistono due lettori che leggano un testo alla stessa maniera. Ma questa gran scoperta è sempre stata ritenuta evidente dallo storicismo filosofico. Quel che il post-moderno non sa e non è interessato a sapere, è che l’unicità dell’esperienza ,la prospettiva personale non escludono la possibilità, peraltro evidente, di un significato comune dell’esistenza umana. Infatti, ciò che ancora manca al post moderno è la capacità di compiere una sintesi delle mutue implicazioni dell’universale e del particolare. Questo è un problema fondamentale di tutta la filosofia moderna, ma il movimento filosofico post-moderno preferisce ignorarlo.
Come ci fa ben notare lo stesso Burke, l’enfasi sul contingente, sull’immanente e sul flusso della storia altera l’esperienza umana a meno che essa sia bilanciata da attenzione all’ordine e alla continuità. Indubbiamente, quel di cui il post-moderno ha assillante bisogno non è tanto l’ordine e la continuità di una a-storica fondazionale metafisica, ma quello dello storicismo dei valori. Parlare di valori significa parlare di caratteristiche che hanno a che fare con la forma immaginativa intellettuale, morale, che l’uomo da alla sua esistenza storica. In altre parole, concependo l’universale nel particolare e l’unità nella diversità come entità in dialettica e reciproca relazione si arriva al concetto dell’universale storico, ovvero l’universale in una particolare forma. Si potrebbe sostenere che il fatto stesso che in generale quest’idea dell’universale concreto provochi tanta incredulità nella filosofia occidentale indica un difetto che va corretto. Il miglior strumento per eseguire tale correzione è la filosofia di Benedetto Croce, dacché per Croce le azioni degli uomini derivano dalla sollecitudine per quel che il mondo può diventare attraverso il processo storico; tale processo, pertanto, rimane sempre un processo morale avendo come meta non il potere ma la libertà e la creatività.
Un altro esempio della parzialità del post-moderno è la sua tendenza a trascurare l’azione pratica. Come per i Romantici, tutto quel che è considerato significativo nella vita va al di là dell’azione pratica. I post-moderni amano far notare che le costruzioni intellettuali e culturali non sono mai disinteressate ed obiettive; che c’è sempre da sospettare l’imperialismo culturale, o regimi di potere, talvolta capricci di ambizioni individuali . Ma tutto questo era ben conosciuto al Croce prima dell’avvento del post-moderno. Ma rimane il fatto che poi lo stesso post-moderno non ha molto da dire su quel che in effetti è la volontà umana e come essa influenzi l’umano.
I tre libri di stampo filosofico scritti da Croce sono L’Estetica (1902), La Logica (1905), e La Filosofia della Pratica (1908). Questi libri sono i meno letti, almeno in America, eppure rimangono la condizione sine qua non per comprendere il senso filosofico di tutti gli altri scritti di Croce. Essi sviluppano la filosofia delle forme, ovvero delle categorie dello spirito umano: l’immaginazione (quel che Vico chiama fantasia), il pensiero astratto, l’azione pratica, e la loro interrelazione. Come ci ricorda Roberts nel suo Nothing but History, se leggiamo attentamente i libri filosofici di Croce ci rendiamo conto che Croce al principio del Novecento aveva già anticipato e trattato con largo respiro i temi che sono venuti alla ribalta con il post-moderno alla fine del Ventesimo secolo. E aveva fatto ciò non solamente rispetto allo storicismo ma anche rispetto a questioni filosofiche che hanno ricevuto molta attenzione negli ultimi decenni. Per esempio, già nel 1902 con la pubblicazione di L’Estetica, Croce sveva anticipato la proposta di Derrida di un mondo radicalmente anti-positivistico basato sul concetto Vichiano del linguaggio che scaturisce dalla fantasia ed è intrinsecamente poetico e creativo. Ma, per la mancata esplorazione delle categorie filosofiche Crociane ciò è assente dalla moderna interpretazione di Croce. Eppure, queste categorie possono contribuire alla nostra comprensione della continuità e della coerenza della storia. Sono convinto che a meno che questa lacuna filosofica vien colmata, Croce continuerà ad essere mal compreso ed ignorato.
Il primo passo nella rivalutazione di Croce è quello di capire che la sua filosofia non prevede “la fine della storia” . La filosofia non fonda la storia, pensa nella storia ed individua le strutture sempre rinnovabile con la quale la storia si concretizza. Una valida filosofia tenterà sempre di afferrare queste eterne caratteristiche dell’esistenza umana, non un’essenza separata dalla storia, ma una che dà forma alla particolarità. Paradossalmente, la filosofia riesce in questo tentativo solamente quando si comprende che possiede e allo stesso tempo non possiede l’eterna verità. La filosofia, per Croce, rimane consapevole che non è ancora arrivata alla verità comprensiva e definitiva, ma quel che conosce, nei suoi limiti, effettivamente lo conosce. La conoscenza non è negata dal fatto che essa si manifesta attraverso particolari formulazioni nella consapevolezza che quel giudizio può essere modificato. Il filosofare, così come lo intende Croce, non è mai elitario: un convivere con gli dei dell’Olimpo al di sopra degli oi polloi resi docili ed obbedienti dalla religione. Il pensiero filosofico consiste nella consapevolezza di possedere e allo stesso tempo non possedere la conoscenza della verità della nostra esistenza.
Sommariamente potremmo affermare con Croce che la dimensione filosofica è sempre dialettica. Il pensiero si orienta attraverso ciò che conosce ma resta inerme di fronte a ciò che non ancora conosce o che non riesce ad esprimere chiaramente. Il filosofo è colui o colei che rimuove gli ostacoli alla piena comprensione.
Croce distingue il pensiero filosofico dal “pensiero pragmatico” come è quello delle scienze tradizionali. Alcuni processi mentali sono, infatti, esclusivamente al servizio dell’utile , del pratico. Croce si considera , per certi aspetti un epistemologo pragmatista , ma capace di discernere la natura prassistica delle scienze così come sostennero molti scienziati all’inizio del secolo e i maggiori epistemologi del nostro secolo. L’esame filosofico dell’esperienza umana cerca di documentare fedelmente ciò che esiste. Al contrario del pensiero pragmatico, il pensiero filosofico non semplifica l’evidenza dell’esperienza, non prende scorciatoie fondandosi su alcuni dati dell’esperienza per raggiungere un particolare fine pratico. La razionalità filosofica non ha tali mete pratiche, è semplicemente un tentativo di conoscere il più possibile fedelmente la complessità della vita, di migliorare la nostra percezione concettuale e cognitiva di quel che persiste oltre la particolarità e gli incessanti cambiamenti.
Per Croce, in questa prospettiva, la storia e la filosofia coincidono. Il filosofo studia la storia per capire meglio se stesso e la sua epoca. La razionalità filosofica cerca la comprensione della vita umana espressa concettualmente ed il più chiaramente possibile, ma non tenta di raggiungere un punto di vantaggio al di là della storia per proteggere tale comprensione dalle contingenze e le incertezze dell’esistenza. Per Croce la filosofia non cerca l’astrazione metafisica ma tenta di comprendere l’articolazione delle categorie che formano la storia dell’uomo. Queste categorie non sono distinguibili dal loro contenuto particolare, e sono interattive in ogni momento della vita umana. Esse sono il cerchio delle interattive ma distinguibili forme dello spirito. Quando Croce afferma di aver raggiunto una struttura permanente della coscienza umana, ciò non implica che la filosofia, o la storia, vadano verso la loro meta finale. Nel dichiarare un significato durevole Croce non si appella mai ad un ordine al di là della storia. Sia come disciplina intellettuale, sia come arena dell’azione umana, la storia, per Croce, deriva la sua coerenza dal costante interagire tra l’universale ed il particolare.
Questo, malgrado l’insistenza sull’apertura intellettuale a nuove idee, viene negato dal post-moderno con i suoi attacchi al “fondazionalismo” ed il rifiuto a strutture e significati che non siano relativi ma durevoli. È dato per scontato dal post-moderno che la contingenza, il nihilismo, l’incoerenza e l’insignificante sono la totalità della vita. Ma in verità l’umanità intera, “il senso comune delle genti,” per dirla con Vico, non ha mai accettato tale cinico giudizio. Il post-moderno si ostina però ad ignorare ciò che l’umanità ha sempre creduto e ciò con cui non è d’accordo chiamandola ostinazione della volontà.
Oggi, Croce può ancora insegnarci che esiste un approccio storicista compatibile con la concezione dell’ordine trans-storico, e persino con la concezione del trascendente. Basterebbe leggere attentamente i suoi libri filosofici.
Questo saggio vuol essere un abbozzo di un gran lavoro di rivalutazione e recupero del pensiero di un gigante della filosofia moderna. Lavoro filosofico da intraprendere nel Ventunesimo secolo , per la costruzione di una nuova Europa unita e di una America in cerca delle loro autentiche identità culturali.

“Libro Aperto” numero 69, Aprile-Giugno 2012