Paolozzi: la bioetica nel labirinto della libertà
«Il corpo di Karen Quinlan, che fluttua tra la vita e la morte secondo il progresso della medicina e il variare delle decisioni giuridiche, è un essere di diritto non meno che biologico: un diritto che pretende di decidere sulla vita, prende corpo in una vita che coincide con la morte».
Queste parole di Giorgio Agamben, riferite al caso di una ragazza in coma negli anni ’70 in Usa, disegnano bene la diade in cui si muove l’etimo della parola «bioetica», bios, vita, e ethos, morale. E il caso Quinlan fu uno dei primi su cui si cimentò la bioetica che poi, sconvolgendo le previsioni di chi pronosticava lo scontro di classe come «contraddizione principale» di fine ‘900 e del terzo millennio, è assurta a ruolo centrale nei conflitti della complessità.
Alle innumerevoli implicazioni della bioetica – concepimento, aborto, limiti della ricerca, trapianti di organi, inseminazione artificiale, libero arbitrio e «fine vita» – dedica attenzione il comitato campano di bioetica. Che oggi, intorno al libro di Ernesto Paolozzi, uno dei suoi più prestigiosi esponenti, si riunisce alle 17 all’Istituto italiano per gli Studi Filosofici per fare il punto sul suo statuto di disciplina come «ponte verso il futuro». Il libro s’intitola La bioetica – Per decidere della nostra vita (Marinotti, pagg. 168, euro 17) e verrà discusso, con l’autore, da Clementina Gily, Raffaele Prodomo e Giuseppe Reale, confrontando le prospettive laica e cattolica. E certo, il volume ben si presta: infatti, comprende insieme un approfondimento aggiornato ai casi più recenti – di Eluana Englaro, dei dibattiti su fecondazione assistita e staminali – e una sistematizzazione teorica della disciplina, dai primi studi di Rachel Carson del 1962 alle elaborazioni di Van Potter degli anni ’70.
Nella seconda parte del volume, Paolozzi antologizza testi significativi, dal giuramento d’Ippocrate a documenti ufficiali della Chiesa, a riflessioni di Edgar Morin, chiudendo con un’utile bibliografia. Paolozzi non esita a declinare il proprio punto di vista, nel solco di pensatori come Ortega Y Gasset, Gadamer e Morin. Aderendo alla critica di «barbarie dello specialismo» di Ortega, e in linea con le riflessioni di Gadamer in «Dove si nasconde la salute», Paolozzi annota che
«nessuna “specialità” può cogliere in tutta la sua pienezza la complessità dell’evento-uomo che deve interrogare e curare». E facendo proprio l’insegnamento di Morin, indica la necessità di compiere le proprie scelte e vivere «nella libertà, che è la fonte inesauribile della nostra responsabilità individuale».
di Titti Marrone
*da “Il Mattino” del 20 novembre 2009
http://sfoglia.ilmattino.it/mattino/sfoglia.php?pbk=1&Date=20091120&Edition=NAZIONALE&Section=NAZIONALE&Number=50&vis=G