L’on. Gennaro Papa è stato nella sua lunga vita fra i punti di riferimento fondamentali per il liberalismo meridionale, un liberalismo che, pur nella dimensione nazionale ed europea, ha assunto, informato dal pensiero di Benedetto Croce, caratteristiche particolari, adeguandosi alla condizione storica, sociale ed economica di questa grande regione d’Europa.
Partendo dal Sannio, la sua terra tanto amata e vissuta, mai lasciata, come è malauguratamente accaduto per tanti uomini politici e di cultura, da Benevento e Montesarchio dove più intensa è stata la sua attività, si è battuto per le ragioni dell’intero Mezzogiorno di Italia: nella prospettiva di un liberalismo non dottrinario pronto ad accogliere le sfide della modernità come l’inevitabile ruolo del pubblico assieme a quello indispensabile del privato.
Non casualmente Gennaro Papa si forma, giovanissimo, in quella temperie culturale che affonda le radici nel liberalismo democratico di Giovanni Amendola. Suo riferimento fu Raffaele De Caro, fra i personaggi più illustri della politica italiana, eletto nel 1924 nella lista amendoliana “Opposizione costituzionale”. Papa ha raccolto il testimone del grande avvocato (del resto grande avvocato anche lui), sia sul terreno della cultura politica sia su quello, per tanti aspetti più accidentato, della politica attiva. Ma nella dimensione del liberalismo etico-politico degli Amendola e dei Croce una vera distinzione fra vita civile e vita politica risulta astratta, talvolta puramente opportunistica, giacché la vita e la storia sono complesse e dialettiche e l’uomo è sempre uomo intero.
La professione di avvocato fu intesa da De Caro come una professione che non può andare disgiunta dalla costante difesa dei più deboli, dei più sfortunati, dei diseredati. Come fu per Guido Cortese a Napoli ed è stato per Gennaro Papa nel suo lungo percorso di difesa dei diritti di cittadinanza.
Gennaro Papa ha rappresentato questa grande e nobile tradizione (lo dico senza nessuna retorica, estranea alla nostra concezione della politica) nel Parlamento italiano (eletto più volte deputato), nel governo come sottosegretario e, vorrei dire, soprattutto, nel Partito liberale italiano, per lungo tempo con Giovanni Malagodi e poi con Valerio Zanone non senza far sentire, nei momenti opportuni, la sua voce critica. Non era semplice in un partito che, pur essendo l’erede principale del Risorgimento, negli ultimi anni rischiò di diventare un partito a vocazione nordista.
Nel 1955 Gennaro Papa fu il primo segretario provinciale eletto dopo un franco confronto su liste contrapposte. Oggi, in pieno eccesso di iperdemocrazia, per dirla con Ortega y Gasset di eccessivo democraticismo, quell’evento può sembrare del tutto irrilevante o, per certi aspetti, inorridire. Ma chi ha senso storico, e si prova a ricostruire il clima politico degli anni della cosiddetta ricostruzione di un Paese da poco liberato dal regime fascista e travolto dalla guerra mondiale, chi riesce a ricostruire quella storia, non può che giudicare quell’episodio, apparentemente minore, come una svolta politica di grande rilevanza. Erano i primi passi che si compivano sul terreno della modernità, di una concezione della politica più ampia ed inclusiva. Si cominciava ad abbandonare il partito fondato sul notabilato, nei casi migliori, e sul clientelismo nei casi peggiori.
Gennaro Papa, e il gruppo dirigente che si riuniva intorno a lui, fu il protagonista di questa nuova stagione del liberalismo sannita. Non è casuale che, nel decennio 1955-1965, il Partito liberale raggiungesse percentuali eccezionali per un partito di opinione, il quindici, il diciotto per cento. Montesarchio, cittadina rilevante per sviluppo economico e tradizione culturale, fu amministrata dai liberali dal 1946 al 1964. In una preziosa, lunga intervista rilasciata a Bruno Menna, Gennaro Papa poteva orgogliosamente ricordare che in quello snodo storico votava per i liberali la maggior parte dei contadini del Fortore e degli operai di Montesarchio. Gennaro Papa è stato attivo e impegnato politicamente fino all’ultimo giorno di vita. Che sia di esempio a tutti noi.
Ernesto Paolozzi
per la rivista di studi “Libro Aperto” Numero 96, gennaio – marzo 2019