Giuseppe Gembillo- Annamaria Anselmo, Filosofia della complessità, Le Lettere, Firenze, pag 283, euro 24,00.
Con Filosofia della complessità, si compie una tappa importante dell’itinerario intrapreso da Giuseppe Gembillo, e con lui da Annamaria Anselmo ed altri amici e allievi. dallo storicismo crociano all’epistemologia contemporanea, al pensiero complesso di Morin. Si tratta, a mio modo di vedere, di una prospettiva filosofica originale nella quale, potremmo dire, si innestano sul tronco forte del pensiero storicista, critico, dialettico, da Vico ad Hegel a Croce, le più moderne e avvertite posizioni epistemologiche che tendono ad infrangere il paradigma riduzionista, di stampo neopositivista, che ancora, per tanti aspetti, domina la cultura media italiana e non solo italiana.
E’ fondamentale, a questo punto, comprendere bene il significato teoretico ed epistemologico del termine complessità che, altrimenti, potrebbe essere facilmente banalizzato (dato l’uso comune che si fa della parola) o semplicemente ritenuto sinonimo di complicazione. In realtà l’opposizione complicazione-semplificazione è tipica del riduzionismo filosofico e scientifico la cui storia Gembillo e Anselmo tracciano brevemente, soffermandosi in modo particolare su Cartesio. Il riduzionismo nasce proprio perché si è sempre avvertita l’esigenza di rendere semplice il complicato, lineare il tortuoso. Ma questa esigenza, che pure trova un suo fondamento teoretico e soprattutto pratico, ci avvicina o ci allontana dalla verità, rischia in qualche modo di arrecare più danni di quanti ne voleva eliminare?
E’ necessario dunque comprendere bene il significato della complessità nell’ambito della nuova filosofia. “Un orologio, scrive Gembillo, è più complicato dell’acqua, ma non è complesso, perché complessità non equivale a maggiore o minore quantità di elementi componenti, i quali, nel caso specifico, restano sempre identici a se stessi. (…) Insomma, continua Gembillo, unità complessa significa entità che non può essere ridotta alle parti che la compongono, ma che emerge dalle interazioni, fatte di competizione e di cooperazione tra di esse”.
Chiarito almeno in parte il senso di quel che vuole essere una filosofia della complessità nella quale, non sembri paradossale, anche il momento riduzionista trova il suo ruolo, una sua necessità, Gembillo e Anselmo procedono in una analisi attenta, filosoficamente ragionata e filologicamente provata, come scrivono ricordando Vico, delle vie che conducono ad un pensiero complesso attraverso, ad esempio, la critica dell’oggetto inteso come sostanza, (dunque ridotto ad una irriducibile fissità) e l’approdo al soggetto inteso come evento, ossia come continua e libera creazione di se stesso in rapporto con l’altro. “La svolta, scrivono gli autori, che ha portato dall’oggetto all’evento ha avuto inizio nella prima decade dell’Ottocento, a seguito delle riflessioni parallele di Hegel e Fourier. L’oggetto emerso dalle loro riflessioni, infatti, è un evento complesso che si muove in tre direzioni: nella direzione dell’evoluzione storica; nella direzione dell’interazione contemporanea con gli altri Interi; nella direzione dei suoi cambiamenti interni: è sempre un qualcosa di diverso, di nuovo, rispetto alle parti che lo costituiscono e agli altri oggetti con i quali interagisce e che, ovviamente, sono strutturati allo stesso modo; dunque, è un sistema complesso”.
Attorno a questo nucleo ruota l’intera prospettiva, paradigma dovremmo dire, degli autori, i quali risalgono alle radici storiche della questione analizzando l’epistemologia classica e contemporanea, la storia della filosofia e la storia delle scienze nel loro inseparabile intreccio.
Ciascuno troverà in queste pagine spunti di riflessione particolarmente interessanti a seconda delle proprie attitudini e propensioni. A me sembra, ad esempio, di particolare rilevanza non solo sul piano filosofico ma anche su quello etico il capitolo: Dalla certezza all’incertezza. Per nostra propensione psicologica tendiamo, naturalmente, a cercare certezze nel trascorrere della nostra vita. E non dovremo certo smettere di farlo o di comportarci come se alcune certezze ci fossero. Ma guai a pensare che si possa cancellare dalla vita l’incertezza. Questo equivarrebbe, se ben si riflette, a cancellare la vita stessa, perché l’incertezza è, sul piano psicologico o sul piano epistemologico, quello che sul piano etico-politico è la libertà. La libertà è fondata sull’incertezza, o forse potremmo dire che l’incertezza si fonda sulla liberà. E la nostra vita, come la storia tutta, è la vita e la storia dell’eterna lotta tra la libertà e l’illibertà. L’unica certezza che si può avere consiste nel comprendere che la vita e la storia sono incerte e perciò libere.
Sarebbero tante altre le considerazioni da mettere in campo una volta letta la ampia e dettagliata analisi compiuta da Gembillo e Anselmo, analisi che si spinge fino alla più recente attualità, allo studio del pensiero dei più importanti scienziati ed epistemologi contemporanei, da Eisenberg a Prigogine, da Maturana e Varela a Morin.
Ma soltanto un altro aspetto, che in parte ho già sfiorato, mi sembra necessario mettere in luce. Ossia la immediata ricaduta etico-politica che può avere una intelligente comprensione della filosofia della complessità. E’ naturale, se ben si è compreso il percorso compiuto dagli autori, che una filosofia della complessità non può che non essere sostanzialmente una filosofia della libertà.
Scrivono, infatti, Gembillo e Anselmo: “quello che, in relazione ad ogni forma di Stato appare fondamentale nell’ottica della complessità è senza ombra di dubbio antitotalitarismo che in positivo si chiama liberalismo democratico. Uno Stato risponde ai canoni minimi della complessità solo se è costituito a seguito di una scelta liberamente espressa dal suo popolo, il quale è depositario del potere e lo esercita nei limiti della Costituzione. Qualunque restrizione è riduzione di complessità e mortifica il pluralismo e la diversità d’opinione, indispensabile per la vitalità di un’istituzione che altrimenti rischierebbe di sclerotizzarsi. Le scelte politiche non possono essere un frutto di una volontà singola o di un gruppo ristretto, ma devono concretizzarsi come il risultato non previsto da nessuno perché frutto di una serie di mediazioni che i detrattori di uno stato liberale chiamano compromesso, connotandoli in senso spregiativo, ma che in effetti rappresentano la garanzia che nessuno deve stabilire da solo e dunque arbitrariamente le regole su cui si fonda una convivenza realmente civile”.
Come ho mostrato in altre occasioni anche a proposito del pensiero moriniano tante volte chiamato in causa da Giuseppe Gembillo, un moderno liberalismo, che sia un liberalismo metodologico, ossia non legato soltanto a teorie astratte, più o meno coerenti e storicamente valide ma che si ispiri alla libertà come orizzonte ideale verso cui tendere sempre e guardi alla realtà effettuale per comprendere le reali possibilità di attuazione, per individuare volta per volta i reali nemici della libertà e combatterli, un moderno liberalismo di questo tipo trova nella filosofia della complessità un fondamento teoretico fondamentale per legittimarsi e, per così dire, rafforzarsi: neostoricismo, liberalismo, moderna epistemologia trovano un riferimento comune.
Giuseppe Gembillo del resto, nel suo volume Croce filosofo della complessità edito qualche anno fa, ha mostrato chiaramente, con dovizia di particolari e rispetto dei testi, come in questo ampio orizzonte la moderna epistemologia non solo non è lontana dallo storicismo crociano e dal pensiero dialettico, ma ne è parte integrante.
In questo ultimo volume si precisano i contorni filosofici della questione. Si affina l’ermeneutica storiografica nel rintracciare rapporti e somiglianze fra pensatori considerati, spesso a torto, lontani se non opposti.
Ernesto Paolozzi
Dalla Rivista di Studi “Libro Aperto”, Numero 76, gennaio – marzo 2014