Dall’aperitivo all’impegno. I giovani sono tornati alla politica.
E’ sempre difficile decifrare il profilo di un movimento politico spontaneo, difficilissimo se è in atto. Non sappiamo nemmeno se e quanto durerà l’onda degli studenti universitari e medi che ha attraversato tutte le città italiane.
Vorrei mettere da parte i paragoni storiografici con gli altri movimenti nati dal Sessantotto, sui quali già si discute e si avrà modo di discutere nei prossimi mesi. E vorrei anche, per il momento, astenermi dalle critiche che si possono muovere circa le strumentalizzazioni politiche, o quelle accademiche, che pur ci sono e ci saranno.
Questo movimento suscita simpatie e nuove, forse perfino trepidanti, aspettative. Si avverte, innanzitutto, che va al di là della lotta ad un legge sull’Università e ad un decreto sulla scuola. Va al di là, perché i giovani che si muovono, dai licei all’Università, e con essi molti genitori, ciò che in effetti stanno collocando al centro della loro preoccupazione e della loro civile ribellione è il futuro stesso della società così come si è codificata e stratificata in quest’ultimo ventennio. Sentono che il loro futuro è minacciato, non solo economicamente ma anche politicamente e moralmente. La nostra scuola è in crisi, ma tale crisi va affrontata in un contesto più ampio, che investe l’intera società. La nostra società è una casta, ma non nel senso banale delle solite denunce sugli sprechi e i privilegi di questo o quel potente. E’ una casta chiusa, che si articola e si organizza sul principio della cooptazione: chi è al potere si guarda bene dal mettere in moto quella meritocrazia che invoca, sia da destra che da sinistra. E’ una classe dirigente vecchia, abbarbicata al posto che occupa in una società che non intende, a tutti i suoi livelli, aprirsi alle novità, all’originalità, alla libertà del pensiero e dell’iniziativa. E’ un mondo vecchio anagraficamente e strutturalmente: non sa rispondere alla crisi economica se non rifacendosi alle ricette scolastiche e ammuffite del neoliberismo o del neostatalismo, non sa affrontare la globalizzazione multiculturalista se non ricorrendo al neorazzismo fascistoide o al solidarismo buonista.
Abbiamo visto sfilare, negli stessi cortei, studenti di Sondrio e di Catania e, attraverso la rete, dialogano quotidianamente giovani di tutt’Italia. Sarebbe un grande avvenimento se, sulla spinta di questi ragazzi si cancellasse dall’agenda politica italiana quell’odioso, subdolo e scivoloso confronto antropologico e neorazzista fra Nord e Sud, italiani e stranieri, e così via. E’ questo un altro aspetto che, in qualche modo, innervosisce l’attuale classe politica, abituatasi a vivere, e a lucrare, su sentimenti di ingenerosità e cattiveria diffuse.
Mi auguro che il movimento continui ad essere quello che è, e non si faccia seppellire da riflessioni storiografiche di cui, francamente, non se ne può più: fascismo e antifascismo, Sessantotto e postsessantotto e così via: che guardi al futuro. Semmai, sebbene per ora non ci sia nessuna connotazione internazionalista, non si può negare che dall’altra parte del mondo, negli Stati Uniti, dopo anni di passività, i giovani sono tornati alla politica in appoggio del candidato che propone una svolta profonda. Vinceranno o perderanno non lo sappiamo ma, almeno, si sono messi di nuovo in cammino.
E non è un caso, a mio modo di vedere, che ciò accada in Italia e negli Usa perché, in questo momento storico, sono questi, fra le nazioni importanti, i due sistemi sociali nei quali più forte è stata l’ondata neoconservatrice e più intensa è stata la drammatizzazione delle sperequazioni economiche, della crisi della convivenza civile e sociale.
Mi rendo conto che possa apparire azzardato. Che per ora il punto centrale della protesta riguarda semplicemente dei tagli finanziari al sistema dell’istruzione. Ma è anche vero che quando si ricomincia a discutere, si ricomincia a dialogare fra coetanei e si cerca, come sembra, di portare queste discussioni, queste nuove esigenze, all’interno della società “adulta”, qualcosa può sempre accadere.
Che la generazione dell’aperitivo e della movida possa scuotere finalmente il nostro modo stesso di concepire i rapporti sociali, la società nel suo complesso? Non lo sappiamo, siamo anche convinti che il giovanilismo in sé e per sé non è un valore e può essere pericoloso. Ma i tratti di questo movimento sembrano essere, fortunatamente, non ideologici e nemmeno soltanto rivendicazionisti. Potrebbe dunque indicare un percorso e, perché no, dare coraggio anche a chi giovane non è più ma sente ancora la necessità di un impegno etico-politico.
Ernesto Paolozzi
Da “la Repubblica-Napoli” del 4 novembre 2008