Il laboratorio campano della sinistra.
Negli anni Novanta in ambienti liberali e socialisti europei, guardando alla situazione economica, alla impossibilità di ridistribuire reddito senza creare ricchezza e alla difficoltà di creare ricchezza senza sostenere il reddito, in quegli ambienti si ricorse alla metafora della quadratura del cerchio.
Nel nostro piccolo, è quanto sta accadendo oggi alle forze politiche campane che cercano di riorganizzarsi, ridisegnando le alleanze e il profilo culturale e programmatico.
La Campania potrebbe essere, infatti, la chiave di volta per una nuova politica del partito democratico e della sinistra in generale. Vi sono le condizioni (e per certi aspetti la necessità) di riformulare le alleanze politiche fra un partito riformatore che aspira a collocarsi nella sinistra europea e le forze di centro e di sinistra estrema ridimensionate dall’esito elettorale ma non per questo cancellate, come si dice un po’ retoricamente, dalla storia, che è come dire dalla concreta vita politica del paese.
Dalla Campania, che è la più importante regione del Sud (la Sicilia è un problema a parte), si potrebbe anche lanciare una sfida, seria e rigorosa, al governo nazionale sui grandi temi che verranno all’ordine del giorno primo fra tutti il federalismo fiscale. E se il Partito democratico, l’Udc e la sinistra sapessero affrontare questa sfida senza demagogia e senza arrendevolezza, si potrebbe anche, anzi si dovrebbe senz’altro, coinvolgere dialetticamente le forze politiche meridionali del centrodestra che si troveranno a subire l’iniziativa della Lega.
Ma, appunto, per fare ciò bisogna quadrare il cerchio.
Quando Antonio Bassolino ha chiesto di riaprire la discussione politica in un nuovo laboratorio per le alleanze politiche in Campania e nel Sud, da più parti si è espressa soddisfazione per l’avvio di un processo al quale non sembra per ora potersi opporre un altro percorso che non sia quello delle grida, delle lamentele e del qualunquismo politico elevato a politica da strumentalizzatori di vario tipo e vario genere.
Ma non appena Mariano D’Antonio, neoassessore al Bilancio della nostra Regione, ha proposto un dettagliato programma di sviluppo economico per il Sud nei decisivi anni (fino al 2013) in cui verranno impiegati i fondi europei, da qualche parte della sinistra radicale si è già gridato allo scandalo. Ecco, bisogna innescare prima lo sviluppo per poter distribuire il reddito o, ridistribuendone almeno un poco si può pensare di innescare lo sviluppo?
Personalmente sono convinto che quella indicata da D’Antonio sia la strada giusta. Ma ciò che conta non sono le nostre personali convinzioni, ma la realtà politica, che deve tener conto delle concrete forze in campo.
Ora io credo: la sinistra non può inseguire, come in alcuni settori riformisti si pensa, sic et simpliciter, i liberali.
Tanto è vero che la destra, per bocca di Tremonti e non solo di Tremonti, non sembra più essere quella liberista e mercantile che si professava anni fa ma, addirittura, si dichiara protezionista e, in qualche momento, si presenta populista e statalista. Vuol dire che anche a destra devono quadrare il cerchio.
Ma se la sinistra non deve inseguire i liberali, nemmeno può tornare ad essere massimalista come ormai, ci auguriamo, a tutti è chiaro.
E allora, forse, dal laboratorio campano potrebbe venir fuori, finalmente, un nuovo profilo riformatore, che sia in grado di accogliere le sfide liberali (meno burocrazia, meno assistenza, maggiore efficienza) ma che, al tempo stesso, sappia interpretare le esigenze della modernità e della nuova socialità, che non sono soltanto la difesa dello Stato assistenziale ma, soprattutto, le nuove istanze di liberalizzazione della politica e della società in tutti i suoi settori. Si deve rimettere in moto la mobilità sociale, di devono disarticolare le caste di ogni tipo e di ogni genere, si deve, se mi è concesso dirlo, far respirare di nuovo la vita politica e sociale.
Nell’Università, nel sindacato, nel mondo dell’informazione, ovunque si sono stratificati piccoli e grandi poteri, per tanti aspetti opprimenti. Sono queste le vere ingiustizie del nostro mondo.
Non si tratta del puro liberismo degli anni Ottanta o di un liberalismo di scuola. Si tratta di una visione nuova, almeno per l’Italia, da imprimere nei partiti della sinistra innanzitutto a livello culturale e poi a livello comportamentale. Fra i motivi profondi della sconfitta elettorale vi è senza dubbio quel senso opprimente, quasi persecutorio, che il termine sinistra evoca immediatamente nella maggioranza degli italiani. Per quanti sforzi abbia fatto il Partito democratico, come ammettono i suoi dirigenti, non si è riusciti a scalfire questa percezione diffusa.
La sinistra cosiddetta radicale deve compiere su questo terreno un gigantesco passo in avanti e, per certi aspetti, tornare alle sue origini di forza etico-politica libertaria.
Le stesse forze di centro, escluse dall’alleanza di centrodestra con la Lega, possono ritrovare in questo quadro un nuovo orizzonte per l’azione politica, svolgendo un ruolo di stimolo e, vorrei dire, di vidimazione del rinnovamento dell’intera sinistra democratica italiana. Semmai, perfino per prepararsi, un domani, a guidare una destra che, prima o poi, esaurirà, alla prova del governo, la propria spinta propulsiva.
Ernesto Paolozzi
da “la Repubblica – Napoli” del 29 aprile 2008 Repubblica archivio