Il pensiero e la concreta azione politica di Guido De Ruggiero rappresenta senza ombra di dubbio una posizione originale sia nel contesto del liberalismo del mondo occidentale che di quello italiano. Un liberalismo che è stato definito e può essere definito in molti modi. Metapolitico, come si espresse Croce, anomalo come è pure sembrato, metodologico come ho provato ad argomentare per fugare equivoci. In Italia ha avuto rappresentanti importanti: non solo Benedetto Croce che ne divenne il teorico più noto, ma storici come Adolfo Omodeo e Leo Valiani e perfino critici d’arte e storici della letteratura come Carlo Ludovico Ragghianti e Francesco Flora. Filosofi come Carlo Antoni, Alfredo Parente e Raffaello Franchini oltre, naturalmente, Guido De Ruggiero. E tanti altri studiosi e uomini politici che meriterebbero studi approfonditi e una maggiore considerazione da parte della storiografia e, soprattutto dal mondo politico.
Ma se l’ispirazione generale che accomuna questi uomini presenta un fondamento filosofico omogeneo, la filosofia classica tedesca e la sua revisione compiuta in Italia agli inizi del Novecento le scelte politiche compiute alla fine del fascismo e della seconda guerra mondiale segnano molte differenze. In questa prospettiva l’impegno di Guido De Ruggiero si connota di significati diversi, si presenta come il tentativo di disegnare un nuovo liberalismo democratico e sociale che chiuda ogni porta ad un possibile dialogo con il liberalismo conservatore. Volessimo usare una formula riduttiva e forse banale, potremmo dire che il suo è un liberalismo di sinistra. Forgiato, naturalmente, nella temperie del fascismo e della lotta degli antifascisti che segnarono profondamente la vita del pensatore napoletano. In effetti il suo fu un pensiero politico ed un impegno etico prima ancora che politico, rivolto a disegnare una visione nuova della lotta politica. Ancorato ai valori della nuova Costituzione che l’Italia liberata si era data, una costituzione figlia dell’incontro delle grandi tradizioni politiche del liberalismo democratico, del cattolicesimo democratico del socialismo e del comunismo. Il che significava rimettere in gioco gli assunti teorici delle dottrine che quei movimenti politici utilizzavano come premessa e talvolta giustificazione della lotta quotidiana, dell’azione. Una confluenza di idee, sensibilità e intenti che non doveva essere una semplice sovrapposizione ma doveva trovare un fondamento comune che permettesse di proiettare nel futuro la comune militanza antifascista. Se non si tiene conto di queste condizioni storiche è difficile comprendere il pensiero e l’azione di Guido De Ruggiero e si può facilmente cadere in equivoco restringendo la ricchezza delle sensibilità in vuote e generiche definizioni.
Nel 1942 fu destituito dall’insegnamento sia per la ripubblicazione della Storia del liberalismo europeo, sia per aver condotto attività antifascista collaborando alla fondazione del clandestino Partito d’azione. L’anno successivo fu arrestato. Caduto il regime tornò all’attività didattica e all’impegno politico con rinnovato vigore. Fu ministro della Pubblica istruzione con il governo Bonomi nel 1944 e collaborò assiduamente alla rivista fondata da Luigi Salvatorelli, “La nuova Europa” strumento di battaglia culturale e politica. Nel 1946 lasciò il Partito d’azione per aderire al Movimento per la democrazia repubblicana, appoggiò le liste della Concentrazione democratica e, infine aderì nel 1948 al Partito repubblicano italiano.
Concepì, dunque, l’attività culturale in stretta relazione a quella politica nella migliore e più coraggiosa tradizione della filosofia civile italiana, da Giordano Bruno a Giovan Battista Vico, dagli illuministi del Settecento ai marxisti e crociani dei suoi tempi. Una militanza, come le adesioni e le dimissioni (le date confermano lo confermano) dai vari movimenti che pure aveva contribuito a fondare, generosa quanto irrequieta. Segno di un pensiero che si andava riformando in un travaglio in qualche momento perfino precipitoso.
Il liberalismo metapolitico o metodologico
Nei primi anni del suo percorso storiografico, Guido De Ruggiero sentì forte l'influenza dell'attualismo pur senza che ciò provocasse mai una frattura netta con lo storicismo crociano. Poi, con l'avvento del fascismo, il grande storico del liberalismo (la sua Storia del liberalismo europeo è del 1925) si riavvicina a Croce, ormai divenuto simbolo vivente dell'antifascismo, per poi riallontanarsene negli anni della Ricostruzione quando i democratici e i liberali si divisero fra il Partito liberale e il Partito d'azione.
D'altro canto, e lo si desume anche dal prezioso Carteggio fra i due filosofi, molte differenze sussistono anche sul terreno squisitamente filosofico e, specificamente, su quello storiografico. L'idea stessa di storia della filosofica che De Ruggiero aveva maturato nello stendere la sua monumentale Storia della filosofia non era, propriamente, quella di Benedetto Croce e questi, pur stimando e, per certi aspetti ammirando, il prezioso lavoro deruggieriano, coglieva qualche tratto di genericità, di incertezza metodologica.
I primi scritti giovanili (1912-1926, Cappelli, Bologna, 1963) delineano quelle che saranno le liee direttive del pensiero politico deruggieriano e, specificamente, del suo liberalismo. In questi saggi concepiti durante la gestazione di quella che sarà la sua opera politica fondamentale, La storia del liberalismo europeo, lo studioso esprime circostanziati giudizi storici che mostrano con lucida evidenza quello che sarà il suo metodo interpretativo memore sia della lezione hegeliana che delle riflessioni crociane: un liberalismo storicista, dialettico che si inserisce e non si inserisce nella tradizione classica fondata sull’empirismo o il razionalismo. Critica la “liberale” Destra storica italiana per l’eccessivo statalismo e la cosiddetta Sinistra storica per il trasformismo che ne avrebbe caratterizzato l’attività politica (Croce fu di diverso avviso considerando ne La storia d’Italia, il cosiddetto trasformismo come il necessario adeguamento dei programmi alla necessità della condizione reale). Avversò il marxismo per la sua natura economicistica, potremmo dire, meccanicistica o deterministica, ma apprezzò il socialismo, quello riformista in particolare e, comunque, giudicò l’intero movimento come il più grande moto di liberazione conosciuto dall’umanità dopo la Rivoluzione francese. Auspicò sul terreno strettamente politico una sostanziale confluenza fra il liberalismo e il socialismo come momento essenziale per costruire una democrazia matura, liberale ma attenta alle questioni sociali espressione della borghesia (intesa in senso largo diversamente dal classismo marxista) in quanto classe media, ossia capace di mediare fra le tendenze sia economiche che di costume che caratterizzano una società moderna e conflittuale. Mediazione che trova nello Stato politico l’espressione più alta del liberalismo. Stato di diritto (non Stato etico) il cui compito fondamentale è quello di governare il conflitto, fra classi economiche, gruppi sociali, tendenze ideologiche o religiose, sul terreno comune del rispetto delle istituzioni democratiche.
Giudizi non scontati, dunque, liberi da dottrinarismo e schemi precostituiti. Possiamo dunque soffermarci sulla sua grande opera che per anni ha influenzato il pensiero liberale italiano pur non essendo mai stata veramente accolta dagli studiosi del liberalismo di formazione tradizionale, come del resto accadde e ancora accade per il liberalismo metapolitico o metodologico di Benedetto Croce.
La stessa composizione (basta leggere l’Indice del volume) de La storia del liberalismo europeo, mostra con evidenza l’impostazione teoretica di fondo secondo la quale le posizioni ideali o ideologiche sono sempre messe strettamente in relazione con le condizioni di fatto, con lo svolgimento della storia, soprattutto della storia delle varie tradizioni, delle nazioni e degli Stati. E’ la posizione di chi si muove fra l’idealismo e lo storicismo, fra un’interpretazione della storia come sviluppo unitario e l’esigenza di comprendere anche gli aspetti teoretici sempre in connessione con i concreti eventi della vita sociale e politica. Già in questa premessa si coglie la differenza per tanti aspetti abissale con la tradizione empirista del liberalismo europeo e, soprattutto, con la storiografia costruita su astratte formule, su definizioni generali o generiche che non tengono conto di quella che Machiavelli avrebbe definito la realtà effettuale.
L’ Introduzione e l’intera prima parte del volume, infatti, sono dedicati a chiarire e sviscerare i grandi temi del liberalismo europeo nel suo sorgere storico, dalle libertà feudali alla Restaurazione, agli sviluppi particolari realizzatesi in Inghilterra, in Francia, in Germania e in Italia fino al Risorgimento.
Nella seconda parte, pur senza perdere l’ancoraggio con gli avvenimenti politici, o meglio eticopolitici, De Ruggiero si sofferma sugli aspetti teorici e sui rapporti fra il liberalismo, le istituzioni e le altre dottrine politiche secondo, come abbiamo visto, la filosofia dialettica, in un confronto nel quale le distinzioni, le differenze non sono mai rigide perché trovano il loro significato proprio nel rapporto, nella sostanziale unità o complessità della vita.
La libertà e le libertà. La libertà da e la libertà per
In questa distinzione che poi si rivelerà per lo studioso una distinzione in parte falsa giacché la libertà è sempre una, forse si scorge il nocciolo teorico del pensiero politico del Nostro autore, versione eticopolitica del pensiero filosofico che anima tutta la sua opera almeno fino al 1925: la filosofia critico-dialettica hegeliana e lo storicismo crociano.
Innanzitutto è necessario prendere in considerazione la differenza fra la libertà negativa e la libertà positiva, la prima caratterizzata dall’essere una libertà da vincoli ed autorità, la seconda dal essere una forma propositiva che permea l’intera attività umana. Scrive:
“La storia ci presenta due concezioni diverse, l’una delle quali informa i sistemi politici del secolo XVIII, l’altra quelli del scolo seguente e del nostro. Secondo la prima, l libertà è una facoltà di fare quel che piace, n arbitrio di scelta che implica per l’individua il diritto di non essere ostacolato da altri nell’esplicazione della propria attività. Considerata in sé, nella sua schietta essenza, questa libertà è quasi un niente, appunto perché priva di ogni contenuto, e si esaurisce nell’affermazione formale di un’astratta capacità, di un’arbitraria indifferenza di fronte a qualunque determinazione. Essa però acquista consistenza e rilievo nella sua espressione storica e polemica, cioè come libertà da qualche cosa, come insofferenza di un’esterna imposizione, che impedisce la libera espansione della volontà individuale. La grande vivacità del liberalismo del ‘700 è data appunto dal suo accento polemico, dal suo fermento critico che intacca e discioglie l’irrigidito mondo della consuetudine e dell’autorità, facendo da quella dissoluzione pullulare una miriade di germi, di individualità nascenti e viventi per la prima volta una vita propria.” (1)
Come è evidente anche in questa determinazione generale di una possibile definizione di un concetto di libertà, il filosofo non viene meno al suo metodo di storicizzare quel concetto stesso. Collegarlo fermamente ad un’epoca storica, essenzialmente quella del nascere del liberalismo inglese e dell’illuminismo francese poi. Il metodo è quello classico: cogliere il positivo anche nell’errore. Ed è chiaro che la sostanziale svalutazione della libertà negativa affonda le sue radici nella formazione idealista del filosofo italiano. Ma ecco come argomenta: “Così il concetto negativo e polemico della libertà ne prepara un altro più positivo e costruttivo che si organizza e si sviluppa durante tutto il secolo XIX. Secondo quest’ultimo, la libertà non è indeterminazione e arbitrio, ma capacità dell’uomo a determinarsi da sé, e quindi a riscattarsi con la spontanea adesione della propria coscienza dalle necessità e dai vincoli che la vita pratica gl’impone. Quindi essa non è un dato di natura, ma è il risultato di un’assidua educazione del carattere, il segno della sua maturità civile: E un uomo veramente libero non già colui che può scegliere indifferentemente qualunque partito (questo piuttosto è un uomo frivolo e abulico) ma colui che ha la forza di scegliere il partito più conforme al suo destino morale, di realizzare nel suo atto l’essenza universalmente umana.(…) La libertà negativa consisteva nel negare ogni autorità ed ogni legge; la nuova e positiva libertà consiste nel trasferire nell’intimità del proprio spirito la fonte dell’autorità della legge. Essere legge a sè medesimo, ossia essere autonomo; obbedire ad un’autorità che la coscienza riconosce perché scaturisce dalla sua legge, significa essere veramente libero. Il merito immortale di Kant sta nel aver mostrato che l’obbedienza alla legge morale libertà.” (2)
Il richiamo a Kant, al Kant situato sul confine dell’illuminismo con l’idealismo e il romanticismo, prelude alla riconsiderazione di Hegel come filoso della libertà.
“E’stato il grande merito di Hegel, scrive poco più avanti De Ruggiero, di aver tratto dalla identificazione kantiana della libertà con lo spirito l’idea di uno sviluppo organico della libertà, che coincide con l’organizzazione della società umana nelle sue forme via via più elevate e spirituali.” (3)
Come detto, in questo passaggio si situa il centro vitale del pensiero dello storico del liberalismo europeo. L’indagine storica confluisce in una visione filosofica: la centralità dello sviluppo storico secondo le leggi della dialettica. E la filosofia hegeliana è a sua volta premessa dell’indagine storica in un movimento tipicamente dialettico. Il filosofo di Stoccarda si ascrive così al mondo liberale. Il filosofo da tanti ritenuto un pensatore totalitario, quantomeno conservatore, liberato dai corollari secondari e riportato alla iniziale genuinità dell’ispirazione metodologica (la “scoperta” della logica dialettica) diventa un campione del moderno, nuovo liberalismo. Non è difficile immaginare le perplessità che generò nel mondo liberale il rilievo dato ad Hegel generalmente considerato un campione dello statalismo, dello Stato etico propedeutico ai totalitarismi del Novecento. Ma l’interpretazione di uno Hegel anche liberale risulta convincente se si comprende il punto di vista dello storicismo italiano. Ciò che è messo in risalto, infatti è la ragione dialettica la quale contiene in sé un elemento oggettivamente dinamico per cui la statualità stessa diventa un momento e non il culmine (come pure certe volte sembra credere Hegel) della storia. L’interpretazione è molto diversa. Scrive infatti: ”Se noi studiamo la dottrina hegeliana dello Stato, con la mente sgombra da pregiudizi scolastici, essa ci rivela ben altro che un arido compendio di formule. Nessun sistema politico, eccetto forse quello di Aristotele, è così ricco cdi contenuto storico come la Filosofia del Diritto di Hegel. La stessa linea architettonica, lungi dall’essere un arbitrario artifizio, esprime la crescente complessità del problema dell’organizzazione politica, nella successione ideale dei suoi moment: l’individuo, la società, lo stato. Anima di questo sviluppo è la libertà, che coincide con l’idea dello spirito, e che pertanto non si esaurisce nell’affermazione della singola personalità, ma di qui procede alle formazioni di ordine superiore, in cui si esplicano i rapporti fra le persone fra loro” (4)
La distinzione fra libertà negativa e positiva sarà una costante nel percorso politico di De Ruggiero, il segmento che conduce lo studioso ad abbracciare una visione e una pratica politica che dall’antifascismo approda ad una concezione sempre più sociale e democratica del liberalismo. La liberà da afferma, come tramite per raggiungere la libertà per qualche altra cosa, questo si deve intendere per quel processo che tiene insieme nella concretezza dello sviluppo storico la libertà negativa e la libertà positiva. (5)
Liberalismo e democrazia: unità e opposizione.
Dalle premesse teoriche che abbiamo brevemente esposto è facile comprendere come sul terreno politico Guido De Ruggiero avrebbe preso posizione rispetto alle polemiche antiche ma sempre rinnovate sul rapporto fra liberalismo e movimento democratico.
“Il rapporto tra il liberalismo e la democrazia, quale si è vento manifestando nel corso della nostra indagine è, insieme, di continuità e di antitesi. Nessuno può negare che i principii sui quali si fonda la concezione democratica siano la logica esplicazione delle premesse ideali del liberalismo moderno. Essi si possono compendiare in queste due formule: estensione dei diritti individuali a tutti i membri della comunità; e diritto del popolo, come una totalità organica, a governarsi da sé. Ora, l’una e l’altra formula non sono che i due momenti, o meglio i due poli dell’attività liberale: l’una rappresenta la libertà negativa del garantismo, cioè la garanzia formale che l’attività dell’individuo non sia turbata nella propria esplicazione; l’altra la libertà positiva, come espressione dell’effettivo potere dell’individualità libera di creare il suo stato. Non appena il liberalismo sorpasso lo stadio feudale e ripudia il concetto della libertà come privilegio o monopolio tradizionale di pochi, per assumere quello di una libertà come diritto comune, almeno potenzialmente, a tutti, esso è già sulla stessa strada della democrazia.” (6)
In queste pagine scritte nel 1925 vi sono le premesse dell’adesione del Nostro ai movimenti antifascisti, alla fondazione del Partito d’Azione di cui fu un protagonista. Nel 1943 accusato di aver fondato il partito clandestino di ispirazione liberale e repubblicana fu arrestato.
Ciò non significa che l’adesione all’azionismo democratico abbia comportato l’abbandono del liberalismo. Sia negli scritti teoretici sia negli interventi politici del dopoguerra De Ruggiero terrà sempre a precisare, se così posiamo dire, che ciò che qualifica la democrazia liberale come democrazia autentica è l’aggettivo: liberale.
Scrive: “L’estensione democratica dei principii liberali ha avuto il suo pratico complemento con la concessione dei diritti politici a tutti i cittadini e con la immissione degli strati più bassi della società nello stato; e l’assimilazione ha potuto effettuarsi senza modificare essenzialmente la struttura politica e giuridica delle istituzioni liberali, confermando così l’unità dei principi. Tuttavia sarebbe erroneo trarre da qui la conseguenza d’una identificazione completa e senza residui. Basterebbe a smentirla recisamente il ricordo delle continue ed aspre lotte – di cui abbiamo parlato nel corso della nostra storia – tra liberali e democratici. E se in esse non è disconoscibile un aspetto transitorio e contingente, una resistenza di ceti privilegiati ad estendere ad altri i loro privilegi, vi è anche un aspetto più permanente che trae origine da una divergenza profonda di mentalità politica e che dà luogo a seri e durevoli conflitti sul terreno della pratica. Innanzi tutto, vi è nella democrazia una forte accentuazione dell’elemento collettivo, sociale, della vita politica, a spese di quello individuale.” (7)
Ma le riserve sulla identificazione che troppo spesso si è compiuto fra liberalismo e movimento democratico a spese del liberalismo sono tante a cominciare dalla costatazione, di sapore tocquevilliano, che la democrazia può degenerare in tirannia della maggioranza, può facilmente capovolgersi in demagogia, può ridursi a mera burocrazia asfissiante e ossessionante. Il conformismo, malattia perenne dell’umanità, può trovare nella democrazia, se è lecito esprimerci così, un alibi politico ed istituzionale. Per De Ruggiero la democrazia è tale solo se è liberale ossia se garantisce lo sviluppo creativo delle individualità, delle persone come delle organizzazioni politiche e sociali, dei corpi intermedi. Non sempre questa posizione di fondo troverà Guido De Ruggiero concorde con se stesso, potremmo dire, giacché nella foga polemica del dibattito politico seguito alla caduta del regime fascista la polemica nei confronti dei liberali assunse toni forti e, talvolta, ingenerosi. La perorazione della causa democratica a suo dire tradita dai liberali italiani spingerà il De Ruggiero politico ad assumere posizioni rigide che rischiavano di favorire proprio quelle degenerazioni della democrazia che aveva così felicemente individuate. Non solo, ma la ricerca di una nuova democrazia progressista fondata su formule politologiche quali che siano le condizioni del presente (ad esempio la gigantesca crescita del movimento comunista e le prime avvisaglie della guerra fredda fra Occidente liberaldemocratico e Unione sovietica) portavano il filosofo a perdere quel senso del realismo politico che pure era a fondamento della sua filosofia di ispirazione hegeliana e machiavelliana. Queste contraddizioni si paleseranno anche a livello teorico quando affronterà il tema del rapporto fra storicismo e giusnaturalismo come vedremo in seguito.
Liberalismo e socialismo.
Nell’epoca nella quale si sviluppa il pensiero e l’azione politica dello storico del liberalismo europeo, la distinzione fra socialismo e comunismo non è ancora delineata in tutte le sue differenze e implicazioni come ai giorni nostri. Si comprende così perché la critica al socialismo si intreccia con quella del materialismo storico, alle distanze politiche si uniscono le riserve filosofiche nei confronti della concezione materialistica della storia, dei concetti di lotta di classe, di primato della struttura economica nei confronti delle sovrastrutture culturali e politiche.
Le critiche e le riserve sono essenzialmente quelle classiche operate dal pensiero liberale italiano ed europeo. Interessa maggiormente il tentativo, una volta ribadita la distanza dal comunismo, di trovare momenti di confronto e di incontro fra i due movimenti antagonisti.
“ Ma, scrive de Ruggiero, riconosciute le deficienze politiche del materialismo storico, bisogna anche riconoscere che il socialismo, come forza effettuale di organizzazione della classe operaia non è tutto coinvolto nel giudizio negativo della sua dottrina, perché l’opera sua ha un significato che di gran lunga trascende quell’angusta ideologia. Stringendo insieme gli operai in vista delle contingenze della lotta di classe, il socialismo ha realizzato un valore spirituale permanente: ha elevato una massa di uomini, che aveva trovato in una condizione di servile abbrutimento, al livello umano degli avversari da combattere, ha eccitato in essa un sentimento di dignità e di autonomia, ha favorito il suo intimo processo di differenziamento.” (8)
Il socialismo, dunque, come forza emancipatrice delle classi meno abbienti, un socialismo umanitario che anche il vecchio Croce nell’ultimo anno della sua vita avvicinerà ad un liberalismo maturo e rinnovato dopo la lotta al nazifascismo. Ma quale dovrebbe essere il compito dei liberali, il ruolo da svolgere in questo rinnovato dialogo? Fra le proposte di De Ruggiero spicca, crediamo, una riflessione particolarmente interessante ed attuale. Un’interpretazione del ruolo del liberalismo che può aprire nuovi orizzonti, suscitare nuove speranze in un momento nel quale la libertà sembra di nuovo restringersi a pochi ceti privilegiati, a confinarsi in poche regioni del mondo così lasciando campo libero a vecchi e nuovi conflitti sociali, religiosi, etnici e razziali. Mettendo a repentaglio la pace e la stessa convivenza umana nella stessa civile e progredita America, in quella Europa unita nata per colmare le distanze sociali per assicurare, dopo la tragica esperienza di ben due guerre mondiali, una pace sicura e duratura.
“In rapporto a questo problema, la formula liberale potrebbe essere espressa così: attraverso il socialismo, verso un individualismo superiore. Il che vuol dire: fare della società un mezzo di riscatto e di sviluppo individuale; fare che l’individuo assorba, come un centro organico vivente, quanto più può del mondo in cui vive e di cui vive, e che lo liberi e spiritualizzi con sé. (…) Il liberalismo in quanto non muove da schemi, ma dalla considerazione della personalità umana nella pienezza delle sue determinazioni spirituali ha le migliori attitudini ad intendere il complesso gioco dei fattori psicologici e morali da cui si individua la sintesi politica. Esso ha quella specie di tatto o di fiuto, che a volte può degenerare anche in politicantismo ed opportunismo, ma che nelle sue manifestazioni più elevate è schietta sensibilità politica, e serve a cogliere quel che vi è di umano-di forza e di debolezza umana, di ragionevolezza e di passionalità, d’interesse e moralità – nei rapporti dei governanti e dei governati; per volgere poi quest’esperienza al fine di un elevamento della convivenza umana” (9)
Si delinea così il quadro teorico fondato sulla ricerca storica che funge da premessa all’impegno politico: la costruzione di un movimento politico in grado, caduto il totalitarismo nazifascista, di fronteggiare sia il totalitarismo comunista sia il capitalismo antidemocratico rafforzatosi dopo la tragedia della seconda guerra mondiale. Liberalismo, democrazia e socialismo sono i tre pilastri sui quali costruire la nuova società. In questo senso il liberalismo si deve presentare come un nuovo liberalismo secondo l’auspicio del nostro filosofo. Ciò che unifica i tre movimenti non è, in questa visione, una nuova dottrina economica o politica che si limita a mescolare parti di ciascuna ideologia come in un puzzle Il momento unificante si costruisce in una comune visione del mondo nella quale l’etica, un’etica mobile e dinamica, è il punto di riferimento costante. L’etica intesa in senso moderno comporta la continua assunzione di responsabilità da parte dell’uomo, politico o cittadino comune che sia. Responsabilità che richiama al dovere dell’impegno politico soprattutto degli intellettuali, degli uomini di cultura che devono interpretare il loro ruolo con imparzialità ma senza nascondersi dietro forme di finta neutralità che nascondono un sostanziale timore di impegnarsi concretamente e attivamente nella vita sociale e politica della comunità nella quale vive.
Giusnaturalismo e liberalismo
Un’interpretazione del liberalismo nel senso indicato da De Ruggiero è possibile se il pensiero liberale si nutre della filosofia dialettica hegeliana e dello storicismo crociano e non solo della tradizione empirista e razionalista che caratterizzò il nascere del movimento politico nel Seicento. Ma a questo programma si affianca un’altra esigenza per certi aspetti morale e per altri squisitamente filosofica.
Anche in questo caso le orrende vicende della seconda guerra mondiale sono allo sfondo del pensiero deruggeriano e non se ne può comprendere la tensione morale e il tono se non si tiene ben presente quel clima e l’influenza che poteva avere su un autentico liberale, intransigente quanto combattivo per convinzioni e carattere. Si situa in questo luogo teorico e politico l’esigenza di recuperare il giusnaturalismo innestandolo sul tronco forte dello storicismo crociano; l’esigenza di fondare un liberalismo democratico che dia soddisfazione all’ansia di giustizia non solo giuridica ma sociale, effettiva e operante; un liberalismo fondato su un dover essere normativo, regolativo, se si vuole utopico, che dia spazio al nuovo, che non spenga le speranze di creare nove e più alte forme di libertà.
In quegli stessi anni anche altri crociani sentirono il bisogno di rileggere lo storicismo in chiave giusnaturalista o, se si vuole il giusnaturalismo in chiave storicista. Il teorico di maggiore spessore fu Carlo Antoni, autore dell’importante Commento a Croce, il quale pose, come De Ruggiero, al centro del suo pensiero maturo il tema del relativismo strettamente connesso all’impegno eticopolitico. Si trattava di costruire su una base solida, filosoficamente solida, l’idea che i diritti fondamentali dell’uomo pur essendo soggetti ai mutamenti della storia sono immutabili e inalienabili. Difficile, naturalmente, pensare ad un ritorno al diritto di natura una volta che la filosofia contemporanea aveva mostrato come anche la natura è soggetta al divenire che ne rende sempre mutevole la sua stessa essenza.
Lo stesso storicismo sembrava dover essere ripensato per evitare che si potesse confondere con forme di giustificazionismo storico. Qualunque avvenimento trova una sua ragione se si riesce a pensarlo nelle condizioni storiche nelle quali è nato. Lo schiavismo presente nella storia della Grecia antica non è paragonabile allo schiavismo dei nostri giorni. Sarebbe antistorico, fuorviante condannare Aristotele per non aver adeguatamente combattuto un fenomeno che a noi appare del tutto ingiustificabile ma che ai tempi del grande filosofo era normalmente accettato anche dalle società democratiche. Incamminatisi su questo terreno si corre il rischio di giustificare qualunque nefandezza si sia potuta compiere nel travagliato percorso dell’umanità. La recente esperienza del nazismo, la follia, la ferocia dei misfatti compiuti in quei terribili anni avrebbero, dunque, potuto trovare una giustificazione sia pure soltanto storiografica? Sembrava impossibile, aberrante. Da ciò il tentativo di ricercare la possibilità di costruire un sistema di valori che trascendesse la storia, che potesse essere da fondamento costante e certo per ogni giudizio politico e, così orientare l’azione senza dubbi ed incertezze.
Carlo Antoni propone un ritorno al diritto naturale fondato non su un’astratta idea di natura immobile e oggettiva ma sul rispetto dell’individuo inteso come termine ultimo di ogni attività teoretica o pratica dell’uomo. Una revisione che non metterebbe, secondo il filosofo triestino, in discussione i principii fondamentali del pensiero crociano e consentirebbero una prassi politica al riparo da ogni tentazione relativistica o giustificatrice. L’individuo, dunque, come fine ultimo di ogni giudizio. Ciò che metterebbe in discussione l’integrità, la dignità e la libertà dell’individuo non dovrebbe e non potrebbe essere in nessun modo essere preso in considerazione. Non c’è ragione di Stato, contingenza storica, realismo politico che possa giustificare la mortificazione dell’individuo.
In questo conteso si propone anche la riflessione deruggieriana. Lo storicismo appare, dunque, all’ultimo De Ruggiero come una filosofia a rischio giustificazionista, colpevole di coprire, sia pure inconsapevolmente, l’irrazionalismo barbarico e ferino di cui parte dell’umanità si era macchiata negli ultimi anni. Da qui l’auspicio di un ritorno alla ragione, di un rinnovato illuminismo che passi al vaglio del pensiero critico le vicende della politica. Nel Nostro non si sviluppa un pensiero dettagliato come accade nelle riflessioni di Carlo Antoni ma si esprime un’esigenza che, per taluni aspetti, confligge con il precedente pensiero espresso nella Storia del liberalismo europeo del 1925.
Sul terreno strettamente filosofico sia le tesi di Antoni che quelle di De Ruggiero apparvero a molti interpreti e allo stesso Croce, come tesi dettate più dall’urgenza morale di rispondere al vitalismo ed irrazionalismo del fascismo e del nazismo che non tesi logicamente sostenibili. Ma fuori è di dubbio che allora come oggi il bisogno, (la necessità) di concepire un pensiero politico capace di fronteggiare con maggior vigore le fiammate irrazionalistiche e populiste che attraversano in forme nuove la storia, è un bisogno vivo ed operante.
In De Ruggiero accanto all’esigenza neoilluminista si palesa fortemente quella sociale. Ed è questo, forse, almeno per la nostra contemporaneità, l’aspetto più importante, l’eredità più duratura del nuovo liberalismo sognato dal filosofo. Quell’incontro fra liberalismo moderno e socialismo democratico come risposta sia al totalitarismo comunista sia al ritorno ad un liberalismo soltanto economicista che smarrisce il senso etico profondo che è a fondamento del movimento nato nell’età moderna.
Solo in Italia si distingue fra liberismo economico e liberalismo etico. Distinzione proposta da Croce nella nota discussione con l’economista Luigi Einaudi. E’ una distinzione che porta acqua al mulino delle esigenze rinnovatrici che De Ruggiero propose nel secondo dopoguerra. In tutto il mondo, con diverse parole e specifiche motivazioni questa distinzione torna ad essere centrale nel dibattito politico. I temi posti da De Ruggiero nei terribili anni della guerra ritornano oggi prepotentemente alla ribalta in un momento nel quale le forze politiche che si ispirano al liberalismo dovranno affrontare nuovi irrazionalismi, novi integralismi sempre più pericolosi ed aggressivi. Il liberalismo sopravviverà, ritengo, se saprà affrontare le grandi questioni sociali del nostro tempo a partire dalla modificazione radicale del mondo del lavoro che crea disoccupazione, nuove forme di sfruttamento se non di schiavitù. Uomini come Guido De Ruggiero ci hanno lasciato in eredità l’insegnamento che socialità e libertà si guadagnano e si perdono assieme.
Note
1) G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, Bari, Laterza, 1925, p. 381. Fra i tanti scritti che si possono citare sull’opera di Guido De Ruggiero segnaliamo: il volume di C. Gily Reda, Guido De Ruggiero: un ritratto filosofico, Napoli, SEN, 1981 per quanto riguarda l’inquadramento filosofico generale; l’Introduzione di Francesco Mancuso alla raccolta di scritti deruggieriani Lezioni sulla libertà, Napoli, Guida, 2007 per il De Ruggiero politico. Di particolare interesse è il Carteggio Croce-De Ruggiero, Bologna, Il Mulino, 2008.
2) Ibid. p.382
3) Ibid. p.383
4) Ibid. p.249
5) Si confronti il volume di Ernesto Paolozzi, Il liberalismo come metodo, revisited edition, Napoli, Kairos, 2015
6) Ibid. p.403
7) Ibid. p.405
8) Ibid. p.425-426
9) Ibid. p.424