Il voto per le Europee serve a Pomigliano.
Se non fosse stato per le tre domande che “la Repubblica” ha posto a Gino Nicolais e a Luigi Cesaro, non si sarebbe ancora parlato delle elezioni provinciali di Napoli.
Sarebbe il caso che, in questi ultimi giorni di surreale campagna elettorale, ci ricordassimo che si vota per rinnovare il Parlamento europeo. L’Istituzione che, nel bene come nel male, influenzerà la nostra vita politica determinando gran parte della vita quotidiana dei cittadini e dei consumatori.
Mi rendo conto che il tema annoia ma credo anche che il dovere della politica, della scuola come della cultura, sia quello di tentare di riconquistare uno spazio alla discussione pubblica circa il destino della nostra società.
Non è presunzione o fissa giacobina di imporre alla plebe un punto di vista superiore. Qui si tratta solo di semplice buon senso. Vorrei dire di banale realismo.
Gli operai della Fiat di Pomigliano vivono in questi giorni un terribile dramma: la possibilità di perdere il posto di lavoro, che è secondo solo a quello di perdere la salute fisica. Dramma personale, che diventa dramma sociale e politico, perché colpisce l’intera comunità campana, ne indebolisce gravemente lo sviluppo economico, mette a repentaglio la pace sociale.
Ed è un grave errore, come fa una parte della politica italiana, considerare la questione solamente dal punto di vista della solidarietà umana, come se non fosse un problema politico, di strategia economica, che coinvolge l’intera comunità nazionale. Stiamo tutti comprendendo che la soluzione di questo dramma può avvenire soltanto in sede europea, anzi mondiale. Il nostro governo è pressoché assente. Le scelte rimbalzano da Torino a Berlino, dall’Europa all’America. Il nostro destino è nelle mani di altri.
Abbiamo tutti assistito, in questi giorni, al tentativo del ministro Maroni di conquistare qualche voto alla Lega facendo la faccia feroce nei confronti di alcuni barconi di immigrati provenienti dall’Africa. Rintuzzato dal Presidente della Repubblica, redarguito dai vescovi, scavalcato, immediatamente, da Berlusconi che ne teme la concorrenza elettorale in Lombardia e nel Veneto. Ci siamo resi conto o, almeno, se ne sono resi conto gli osservatori più attenti, che il problema dell’immigrazione non è risolvibile da un solo paese. Soltanto l’intera comunità europea potrà affrontarlo e, ci auguriamo, risolverlo in senso positivo, con civiltà, umanità ed efficienza. Sia che si scelga la via, poco lungimirante, della durezza per la durezza, sia che si scelga quella, di lunga prospettiva, dell’inserimento responsabile, non sarà la sola Italia a poterne determinare i risultati.
Ci accorgiamo, giorno dopo giorno, che è semplicemente folle pensare che lo stringente e pressante tema dell’energia, delle sempre più scarse risorse energetiche e del connesso dramma dell’inquinamento, si possa affrontare dall’asfittica dimensione di un solo paese. Mentre ci avventuriamo, infatti, in una scelta del tutto fuori tempo, quale è quella del nucleare, in altri luoghi d’Europa, ed oggi anche negli Stati Uniti d’America, si sperimentano e si concertano nuove, alternative, strategie. Si può dire che il successo della Fiat in America sia dovuto essenzialmente alla capacità di produrre tecnologia meno inquinante e meno dispendiosa di quella delle grandi case automobilistiche americane. E, forse, da quell’accordo sopranazionale dipenderà il destino dei nostri lavoratori torinesi, siciliani e campani.
L’Europa, dunque, non è soltanto un ideale, un luogo politico inventato da sognatori ed idealisti. E’ lo spazio etico e politico nel quale si deciderà il nostro futuro. Un’Europa debole sarà subalterna, sempre più subalterna, all’America, alla Cina, all’India e alla Russia. Un’Europa forte sarà protagonista nel mondo con i suoi antichi valori di democrazia, socialità, libertà.
Stiano dunque attenti gli elettori. Non si lascino trascinare dal pessimismo, dallo scetticismo, non cadano nell’inutile e dannoso astensionismo e, soprattutto, sappiano scegliere fra quelle forze politiche che, da sempre, sono state europeiste e, prima degli altri, hanno compreso il grande valore dell’Europa. Quelle forze politiche che non hanno speculato, per bassi fini elettorali, negli anni difficili dell’introduzione della moneta unica. Di quell’euro tanto maltrattato che oggi dobbiamo tutti ringraziare per averci messo al riparo da una bancarotta certa quanto drammatica.
Da “la Repubblica-Napoli” del 28 maggio 2009 Repubblica archivio