La riforma della giustizia. La smania riformista privilegia l’efficienza.

“Implacabile e misterioso, il tema della riforma della giustizia torna con ormai monotona puntualità ad occupare il dibattito politico e l’attenzione dei mass media. Sempre più indefinito nei suoi contenuti, nelle finalità e nell’indicazioni delle risorse, è ormai cosa che suscita disinteresse persino nei destinatari immediati di tale riforma, i magistrati. Non è chiaro se trattasi di riforma solo processuale o anche ordinamentale o persino costituzionale.”

Così nella presentazione del Forum organizzato dall’Associazione “Tertium datur”, che si terrà martedì alle 16.30 a Palazzo di Giustizia (Aula 220) al quale parteciperanno magistrati, giuristi e studiosi. Ed effettivamente negli ultimi anni assistiamo nel nostro paese ad una sorta di smania riformista alla quale non corrisponde, paradossalmente, nessun profilo riformista vero e proprio.

Per riformismo noi intendiamo, politologicamente, la volontà di cambiare il profilo politico e sociale di un paese in senso progressista e democratico. Tale riformismo è assente, non solo nei governi del paese ma anche, purtroppo, in larghi settori della sinistra la quale, proprio per questo, stenta a conquistare uno spazio egemonico, culturalmente egemonico, nella nostra società.

Per smania riformista, invece, dobbiamo intendere una generica volontà di riformare tutto, la giustizia, la scuola, il sistema fiscale, la stessa Costituzione in mancanza, però, di un quadro complessivo chiaro e definito.
Per la verità, se proprio volessimo trovare un punto unificante e, per certi versi, nobilitante della smania riformista, potremmo rintracciarlo, come l’associazione “Tertium datur” indica, in un tentativo comune di privilegiare la cosiddetta efficienza, la governance, rispetto ai processi democratici, condivisi, per tanti aspetti liberali, di una società che presenta tratti sempre più ingiusti.

Il caso del ricorso alla decretazione e al voto di fiducia, che espropriano il nostro Parlamento con le sue attuali funzioni costituzionali, è un esempio di quanto intendiamo affermare. Mettiamo da parte, per un attimo, le questioni riguardanti la politica in senso stretto, le solite beghe, le polemiche fra gruppi e partiti della maggioranza, l’ostruzionismo delle minoranze, e così via. Chi ha voluto difendere l’atteggiamento del governo nei confronti del Parlamento da un punto di vista generale, ha affermato che in una democrazia maggioritaria e bipolare, nella quale gli elettori sostanzialmente votano per uno schieramento e ancor più per un leader che capeggia una delle parti politiche, l’indicazione programmatica è chiara e non c’è dunque bisogno che si perda tanto tempo nelle dispute e discussioni parlamentari.

Solo in pochi ed importanti casi il Parlamento deve discutere ed, eventualmente, cercare punti di contatto fra maggioranza e minoranza. Negli altri casi l’efficienza e la rapidità impongono un diverso atteggiamento. Qualcuno si è spinto fino a sostenere che sarebbe forse il caso di ridiscutere il principio costituzionale dell’assenza del vincolo di mandato del singolo parlamentare.
Per la Giustizia si sostiene qualcosa di analogo. Si privilegia, generalmente, la cosiddetta efficienza rispetto alle garanzie, salvo, e qui la cosa si complica ulteriormente, per alcuni casi, nei quali invece si invoca, per così dire, un eccesso di garanzia. A questo punto è indubitabile che i cittadini si sentano doppiamente defraudati, perché sembra che le loro garanzie debbano essere ristrette a vantaggio dell’efficienza, mentre ciò debba essere capovolto per quanto riguarda il mondo politico, la cosiddetta casta.

Ora io, francamente, non penso che la giustizia italiana vada bene così come è. Meno che mai ritengo, l’ho scritto tante volte, che la questione politica italiana debba ridursi a questione morale o legale. Anche questo è stato un errore, gravissimo, che la sinistra si trascina dietro dai tempi di Berlinguer, condannandosi alla perpetua sconfitta cosa che, per un progressista, è la più immorale delle posizioni possibili. Mi sembra, anche, che il nostro sistema giudiziario possa e debba trovare, al suo interno, quegli elementi riformisti veri con i quali confrontarsi serenamente col mondo politico. Insomma, il liberale “darsi una regola per evitare che ti venga data”.

Ma, una volta riaffermata questa posizione di buon senso, non è forse il caso di chiedersi, come appunto ci si propone con il Forum promosso sull’argomento, se dietro la richiesta di governance e di efficienza non vi sia un’idea complessiva di società troppo semplicistica, addirittura banale, sempre che non si voglia addirittura pensare ad un preciso progetto per ridurre gli spazi di democrazia e di libertà.

Sono convinto che tale riflessione debba invece compiersi, e debba anche essere molto profonda e preoccupata. Proprio perché la semplicità ha una forza simbolica che la complessità non possiede, per cui è facile scivolare in forme di autoritarismo che si fondano, come già ho avuto modo di dire, sulla elementarità di sentimenti e ragionamenti.
Non invoco un ritorno al complottismo originato da una mal digerita cultura marxista. Ma penso, più semplicemente, ad una lettura liberaldemocratica dell’intera vicenda, in cui si tenga sempre ben ferma l’idea che il cittadino sia sempre il centro della preoccupazione e della cura della politica. Che, insomma, l’uomo sia il signore del sabato e non il sabato il signore dell’uomo.

Ernesto Paolozzi

 da “la Repubblica-Napoli” del 27 gennaio 2009                                                                                                                                              Repubblica archivio

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