Nasce Tertium datur

Nasce a Torre Annunziata la rivista telematica Tertium Datur (www.tertiumdatur.it), attorno alla quale si riunisce liberamente un gruppo di magistrati, tra i quali Nicola Russo e Dario Raffone, con lo scopo, modesto ed ambizioso assieme, di offrire a giuristi, e soprattutto a non giuristi, un momento di confronto che, come si desume chiaramente dal capovolgimento del modo di dire latino, sia autentico e non già precostituito.

Ma, come è evidente, nessun laboratorio, nessuna palestra, in cui si debbano confrontare idee, può essere veramente neutrale. Sarebbe uno dei tanti luoghi che nascono e muoiono nello spazio di un mattino, in cui si discute di tutto e del contrario di tutto in una inutile ricerca di oggettività.

Si può essere, e si deve essere, imparziali, ossia moralmente impegnati a non sopraffare l’avversario, ma non neutrali, ossia logicamente incapaci di esprimere una posizione, di argomentare un’idea. E, infatti, i promotori della rivista, assieme all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, hanno promosso per sabato mattina, presso la sede dell’ Istituto, un importante convegno in difesa della vigente Costituzione italiana intitolato: ‘Le due costituzioni, legalità e legittimazione nella riforma costituzionale’, il cui relatore principale sarà Vincenzo Atripaldi.

Purtroppo il dibattito attorno alla riforma della Costituzione proposta dal centrodestra verte, generalmente, su due temi: sulla cosiddetta devolution e sulla convinzione che anche se il Parlamento dovesse approvarla, il paese reale la boccerebbe attraverso il referendum. Ma i punti non sono solo questi. Nella riforma trapela evidente, al di là dei problemi tecnici che i giuristi sapranno illustrare certamente meglio di me, un’intenzione politica, una visione, vorrei dire, etico-politica che contrasta nettamente, a mio modo di vedere, non solo con la Costituzione vigente, ma con i principii stessi di una moderna democrazia liberale.

Questa diversa visione del mondo si esprime, a me sembra, attraverso una concezione plebiscitaria della democrazia che si fa scudo dei concetti, di per sé neutrali, di “efficienza e rapidità”. Sono anni, ormai, già prima dei governi di centro destra in verità, che si invoca per la classe politica, come per la Magistratura, una maggiore efficienza che adegui l’intero ordinamento dello Stato alla rapidità dell’evoluzione sociale ed economica tipiche di una società complessa. E, detta così, la cosa non fa una grinza. Ma le domande che ci dobbiamo porre sono: qual è il prezzo in termini di libertà e democrazia che si deve pagare per essere efficienti? Ed è poi vero che una società complessa possa essere governata con la semplificazione? O è vero, al contrario, che la complessità si governa con la complessità?

Ecco, mi sembra che questi siano gli interrogativi di fondo a cui si deve dare risposta. Pensare che la questione si possa risolvere attribuendo ad un capo, ad un Presidente del Consiglio o della Repubblica, un surplus di potere in nome di un generico popolo che lo vota, al di là dei vincoli costituzionali o legislativi, mi sembra percorrere una strada pericolosa e forse anche stupida.

Vorrei ricordare che le Costituzioni nascono, nei due secoli passati, per essere assieme garanzia e limite della democrazia. In ciò consiste la loro essenza tipicamente liberale. Le Costituzioni rappresentano la volontà condivisa della maggioranza dei cittadini, ma al tempo stesso, pongono a quella maggioranza dei limiti invalicabili senza dei quali il singolo cittadino, che è poi l’unica reale esistenza, non sarebbe garantito nei suoi inviolabili diritti individuali. La Magistratura è un elemento fondamentale di garanzia proprio per quei cittadini che ogni Costituzione intende difendere nelle loro prerogative essenziali.

Ernesto Paolozzi

Da “La Repubblica” 20 maggio 2005                                                                                                                                               Repubblica archivio

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