Alle ultime elezioni comunali, la stragrande maggioranza degli elettori del Partito democratico ha votato per de Magistris. Una buona parte aveva scelto di votarlo anche al primo turno perché deluso dalle polemiche interne al partito. Ed è questo il dato rilevante, essendo fisiologico che al secondo turno, fra un candidato di destra e uno di sinistra, i democratici non avessero scelta. Al ballottaggio metà degli elettori si è astenuta. Il consenso degli elettori del Pd è stato, dunque, determinante.
Oggi, a quasi un anno dalle elezioni, il sentimento degli iscritti e dei simpatizzanti democratici sembra radicalmente mutato. È questo il dato fondamentale consegnato alla nostra riflessione da una consultazione (non un sondaggio) operata dalla Lega democratica fra una la base e i dirigenti del partito.
Gli iscritti escludono, a larghissima maggioranza, la partecipazione diretta del partito alla giunta. Come dire, non vogliamo sentir parlare di accordi politici che possano sembrare, o essere, accordi di potere, di gestione. Ma anche il giudizio complessivo sull’ operato dell’ Amministrazione e sulle scelte politiche non è positivo. Si chiede, innanzitutto, di riorganizzare il partito, di compiere scelte programmatiche e politiche semplici ma nette (soprattutto in ordine al lavoro) e solo dopo parlare di alleanze.
Gli organizzatori della consultazione, presentata al pubblico nei giorni scorsi, Michele Caiazzo, Gennaro Prisco e Salvatore Salzano, hanno sintetizzato la questione con questa formula: ciò che si chiede è di trasformare una maggioranza elettorale in una maggioranza politica. È possibile? Potrebbe interessare il sindaco e una parte dei suoi assessori che sperimentano nuove organizzazioni politiche per il futuro? È una questione locale che si intreccia, naturalmente, con la politica nazionale.
Presentando l’ iniziativa, Andrea Orlando ha delineato uno scenario per il Partito democratico molto più complesso. Molto di più della cosiddetta foto di Vasto, ossia l’ alleanza fra Pd, Di Pietro e Vendola in vista delle elezioni politiche che si avvicinano per scadenza naturale. Il Pd, sia pure fra molte comprensibili difficoltà, sta costruendo un suo profilo riformista, non tardo socialista o neo liberale e nemmeno genericamente democrat. Un riformismo per certi aspetti più tradizionale, che accoglie, certo, le istanze liberali, ma che non insegue i liberisti o mercatisti ma si tiene distante dai populismi radicaleggianti.
Le prove concrete sono date dalla promozione del Manifesto di Parigi, con il quale la sinistra democratica europea intende fronteggiare la destra conservatrice e forse batterla e dal responsabile appoggio al governo Monti, appoggio critico e condizionante, come nel caso della battaglia, parzialmente vinta, sulla questione del lavoro. Una via stretta e tortuosa, ma che sembra l’ unica percorribile.
Mi chiedo: questa linea politica è compatibile con gli umori, i toni, le rappresentazioni che attraversano confusamente un’ amministrazione che passa da padre Zanotelli a Romeo con assoluta disinvoltura? Chi ha avuto la cortesia di leggere qualche mio scritto, sa che sono sempre stato favorevole all’ unità della sinistra. Che ho sempre sostenuto che un eventuale accordo con altre forze politiche che vanno formandosi al centro può avere un largo respiro solo se la sinistra democratica si presenta unita, con un profilo netto e limpido.
Ma gli umori populistici e antipolitici sono compatibili con questa strategia? Di più, ma sono poi di sinistra? È una delle domande fondamentali che il Pd dovrà porsi nel prossimo congresso provinciale di Napoli, al di là delle correnti e degli schieramenti come chiedono a gran voce i militanti. È una domanda che, prima o poi, dovrà porsi anche Vendola, la cui tradizione culturale e politica ha poco a che fare con le pulsioni attuali della versione dell’ antipolitica a sinistra che si intreccia pericolosamente con quella della destra.
Ernesto Paolozzi
Da la Repubblica 06 maggio 2012 – pagina 8 sezione: NAPOLI