Instabilità e beghe, la politica annaspa
Cambieranno gli equilibri politici in Campania dopo la dura rottura fra Fini e Berlusconi? Certo che muteranno. Non sappiamo quanto i finiani potranno incidere, a breve, sulla tenuta dei governi locali di centrodestra. Ma ciò di cui siamo sicuri è che il peso politico dei dissidenti legati al presidente della Camera sarà rilevantissimo. Non solo per la presenza di Bocchino e Viespoli, autorevoli esponenti del nuovo gruppo. Ma perché la tradizione della destra rappresentata da Fini è, nella nostra regione, antica e radicata. Il quadro politico dunque si complica improvvisamente in maniera radicale anche se è probabile che, sui tempi brevi, non vi saranno eclatanti scossoni sul terreno istituzionale.
La situazione si complica e, per certi aspetti, si rende indecifrabile perché la deflagrazione del Pdl si inserisce in un quadro generale ancor più confuso e dai contorni, più che incerti, addirittura inesistenti. Il Pdl era già dilaniato dallo scontro fra Cosentino e Caldoro. E Stefano Caldoro, pur essendo stato sempre leale con Berlusconi, proviene da una cultura politica diversa da quella della destra. Proviene dal socialismo riformista e rappresenta a sua volta, per molti aspetti, una posizione di minoranza estrema fra le tante componenti che costituiscono il partito di Silvio Berlusconi. Tale posizione può rappresentare la forza come la debolezza del neoeletto presidente. Dipende da come saprà gestirla, quali posizioni prenderà. Dovrà mostrare di essere assieme fedele al progetto originario ma capace di una forte autonomia nei confronti di un governo nazionale che, oramai, è diventato il governo Bossi-Berlusconi-Tremonti.
Posizione, quella di Caldoro, difficile e non invidiabile, in un momento nel quale la crisi economica, dagli indicatori astratti delle statistiche, entra violentemente nelle tasche e nelle esistenze dei cittadini. È difficile anche comprendere la posizione dell’ Udc. Il partito di Casini è all’ opposizione del governo nazionale ma sorregge e condiziona fortemente i governi locali di centrodestra. È diviso, al suo interno, fra la componente che fa capo a De Mita e quelle, meno visibili ma per tanti aspetti ugualmente condizionanti, legate ad altre personalità. Sul fronte del Pd, il maggiore partito di opposizione, l’ unica notizia positiva è la candidatura autorevole di Umberto Ranieri a sindaco in vista del rinnovo del consiglio comunale che avverrà in primavera. La prima grande scadenza elettorale del dopo Bassolino. Ma, tanto per cambiare, la buona notizia per il Pd rischia di vanificarsi di fronte alle solite diatribe interne e alle prese di posizione populiste e demagogiche che già si profilano all’ orizzonte della coalizione di centrosinistra.
La sensazione dunque è quella di un’ assenza totale della politica, della politica vera, rispetto al moltiplicarsi di fattori di instabilità e da preoccupanti beghe da basso impero che attraversano tutti gli schieramenti. Perfino la Chiesa non parla più, travolta com’ è, in questi mesi, da scandali di varia natura che sembrano averla totalmente anestetizzata. Le componenti della cosiddetta società civile, o strutturata che dir si voglia, sono alle prese con problemi di non poco conto, dalla questione morale che tocca l’ Unione industriali alla crisi del sindacato di fronte alla svolta impressa dalla Fiat a Pomigliano d’ Arco.
Descritto così lo stato delle cose, il pessimismo sarebbe all’ apice, e lo sconforto anche. Eppure certe volte è proprio in situazioni del genere che è possibile che la politica riprenda il primato. Che fra ciò che resta dei gruppi dirigenti dei partiti ci sia uno scatto di volontà. Più che di battere avversari si tratta, probabilmente, di ritrovare il bandolo della matassa. Di organizzarsi, o riorganizzarsi, attorno a pochi principi e a precisi progetti per ridare vita a un’ idea complessiva, ma semplice, di governo della Campania e di Napoli. –
Ernesto Paolozzi
Repubblica – 31 luglio 2010 pagina 1 sezione: NAPOLI Repubblica archivio