Profilo del commediografo Gaetano Di Maio
L’opera teatrale di Gaetano Di Maio si inserisce nella tradizione del teatro comico da Petito a Scarpetta, da Eduardo a Peppino De Filippo, teatro comico che presenta come spesso accade per questi autori venature sociali, umane ed esistenziali.
Di Maio nacque il 18 agosto del 1927 a Napoli, dove è morto, a sessantatrè anni, il 26 Marzo del 1991. Figlio d’arte, non si occupò per altro di teatro fino alla morte del padre, Oscar, avvenuta improvvisa nel 1948. Il nonno, Crescenzo, fu insieme a Federico Stella, fra gli animatori (era autore ed impresario) del grande teatro San Ferdinando di Napoli, e partecipò attivamente alle polemiche letterarie di fine ottocento e di inizio novecento, sulla natura del teatro drammatico, realista, in qualche modo politico. I suoi figli, Gaspare ed Oscar, furono autori versatili e prolifici e a loro si deve, sostanzialmente, la nascita della cosiddetta “sceneggiata napoletana”, che all’epoca era un genere popolare non ancora però degenerato nelle varie forme di plebeismo manifestatosi negli anni del secondo dopoguerra. Furono attrici la madre di Gaetano, Margherita Parodi, anch’essa appartenente ad un’antica famiglia teatrale, le sorelle Maria ( più versata nella recitazione drammatica) ed Olimpia ( nota al grande pubblico per aver interpretato la madre di Massimo Troisi nel film Scusate il ritardo) e, ancora oggi, discendenti di quella antica famiglia calcano le scene, come il figlio di Maria che ha assunto il nome d’arte Oscar Di Maio.
Il giovane Gaetano Di Maio non aveva intenzione di seguire le orme paterne. Timido ed introverso (resterà una sua costante caratteristica) inclinava agli studi letterari e filosofici. Ma quando la morte improvvisa del padre, negli anni bui del dopoguerra, mise a repentaglio l’esistenza della Compagnia da lui diretta e dunque la stessa sopravvivenza economica della famiglia e di tanti altri attori ad essa legati, Di Maio fu costretto a sostituirsi al padre, come autore, mentre alla madre, Margherita e alla sorella Maria spettò il compito di gestire la non facile situazione impresariale.
Da allora, per molti anni, Di Maio produsse decine di commedie e sceneggiate per la sua e per altre compagnie, riscuotendo un crescente successo senza, però, interrompere i suoi studi, che lo conducevano alla lettura di Vico, De Sanctis e Croce, della grande filosofia tedesca, dell’intera letteratura italiana da Dante a Pirandello, ai maggiori scrittori e filosofi europei e mondiali dell’Ottocento e Novecento. Studi di cui è rimasta ampia traccia nelle sue carte inedite e nella memoria di alcuni, allora giovani, studiosi che rappresentavano la sua unica, vera e gradita compagnia.
Negli anni Sessanta, e precisamente nel 1962, si incontrò con Nino Taranto, all’ora all’apice del successo, e scrisse per il grande attore la commedia Avendo potendo pagando, che in tutta Italia riscontrò notevole successo. Ancora per Taranto, Di Maio compose Michele sette spiriti, una serie di atti unici per la RAI, dai quali emergeva con sempre maggiore nettezza la capacità sintetica dell’autore, la sua forza espressiva, la genialità nell’escogitare situazioni e tratteggiare personaggi.
In seguito, per quasi dieci anni, Di Maio tornò al suo vecchio lavoro, perché restio a lasciare la propria città e a frequentare gli ambienti teatrali in voga all’epoca. Nessuna presa di posizione ideologica aveva determinato tale scelta, quanto piuttosto una naturale propensione all’isolamento e l’insofferenza per la vita mondana e per le troppe lotte intestine caratteristiche dell’ambiente teatrale. Non solo, ma ritornava prepotentemente la vocazione agli studi filosofici e letterari che mal si conciliavano con un impegno che andava oltre la scrittura teatrale in senso stretto.
Agli inizi degli anni Settanta, stimolato da Nino Veglia e Luisa Conte, attori di tradizione approdati dalla sceneggiata alla compagnia di Taranto e di Eduardo De Filippo, cominciò a scrivere per la compagnia Stabile del teatro Sannazaro di Napoli, antico e glorioso teatro decaduto e rilevato da Nino Veglia. Il teatro nel quale Scarpetta aveva rappresentato con grande successo ‘A Santarella.
La Compagnia di Veglia e Luisa Conte aveva esordito con testi classici, riscuotendo, però, un mediocre successo. Di Maio debuttò nel 1972 con La fortuna ha messo gli occhiali, opera che sarà poi ripresa, con varie modifiche, nella stagione 88-89 con il titolo 14 ‘o pittore 22 ‘a pazza. Ma il vero, grande, diremmo straripante e in parte inatteso successo si ebbe con Mpriestame a mugliereta (prestami tua moglie) liberamente tratta da Carlo Guarino per l’attenta e intelligente regia di Giuseppe De Martino, il quale, da allora, sarà il regista preferito da Di Maio. La commedia, comicissima, ricca di intrighi e colpi di scena, inserita nella migliore tradizione della commedia francese e napoletana, fu replicata per duecento sere costituendo un record di incassi per quegli anni.
L’anno successivo, Di Maio presentò una commedia più complessa, meno comica ma per certi aspetti più impegnata, Nu paese mmieze ‘e guaie (un paese nei guai). La commedia fu ripresa con il titolo E’ asciuto pazzo ‘o parrucchiano (è impazzito il parroco) nella stagione 1989-90, in questa seconda edizione ebbe un successo di pubblico ancora superiore e fu accolto bene dalla critica; negli anni infatti il pubblico “borghese” del Sannazaro si era lentamente abituato a gustare testi meno farseschi. In questa commedia, per altro comica e fortemente teatrale, Di Maio tematizza la questione del peccato (i miracoli inventati dal parroco) commesso a fin di bene in una cornice di sapida e serrata satira della chiusa, ipocrita, vita di provincia. Nello stesso anno, per la compagnia dei giovani messa su dal Sannazaro Di Maio adattò le Furberie di Scapino di Moliére con il titolo Le trovate di Minichiello.
Nel 1991, anno della scomparsa del commediografo, si rappresentò Ce pensa mammà, ampio rifacimento del testo del 1982 Letizia Corallo con madre a carico.
Questo testo è importante per complessità e ambientazione, fu rappresentato anche dalla grande attrice Rosalia Maggio, della omonima, importante, famiglia Maggio.
Il teatro di Di Maio attende nuovi interpreti e nuovi registi. Si rappresenta, infatti, in giro per l’Italia e fra le migliori messe in scena vi è certamente quella della compagnia di A. Maio di Messina, recitate in siciliano.
Fin qui abbiamo tracciato, per grandi linee, l’itinerario teatrale del grande autore napoletano. E’ necessario, sempre più, cominciare a valutarne storicamente e criticamente l’opera. Possiamo solo fornire qualche spunto alla riflessione. La scrittura di Di Maio è fortemente innovativa, pur rimanendo saldamente legata alla tradizione. E’ il ritmo serrato che l’autore imprime al testo, la capacità, come egli stesso ricordava, di concepire ogni battuta come parte integrante della situazione, a conferire alle sue commedie l’impronta e il ritmo di uno spartito musicale.
Altro momento fondamentale fu la capacità di conferire ai personaggi, sia pure nell’ambito di una trama e di situazioni squisitamente comiche, uno spessore umano, una complessità psicologica tipiche della commedia nel senso più alto della parola.
Dall’antica frequentazione della sceneggiata napoletana egli conservava la rara capacità di passare dal comico al serio, dal farsesco al pensoso quasi sempre senza strafare, con misura e naturalezza.
Un discorso a parte dovrebbe farsi per il Di Maio poeta. Egli ha lasciato poesie inedite pubblicate poi dall’editore Palomar con prefazione di Giuseppe Di Costanzo, di assoluto valore letterario. Versi, in lingua, che poco hanno a che vedere con il suo teatro comico, essendo fortemente impegnati, drammatici e figli di una lunga e originale consuetudine con la letteratura italiana e straniera, con la filosofia di cui fu un sottile e arguto studioso. Non vorrei sbagliare, ma da questo punto di vista, quello del Di Maio potrebbe essere un vero e proprio caso letterario, un autore, per tanti aspetti, ancora da scoprire.
Cenni bibliografici
Salvo poche commedie, il teatro di Di Maio non è stato ancora pubblicato, non si dispone dunque di un edizione critica delle sue opere.
Nemmeno sono state raccolte in volume le centinaia di recensioni rappresentazioni delle sue commedie apparse su quotidiani e riviste di tutta Italia.
Ricordiamo qui soltanto i saggi di Enrico Fiore, Quando la comicità diventa riflessione, ed Ernesto Paolozzi, Tra poesia e Talento: il teatro di Gaetano Di Maio, apparsi nella rivista “Nord e Sud” del gennaio 1996. Nella stessa rivista appare lo scritto di Renato Filippelli, La dolce malinconia di un esistenzialista dedicato al Di Maio poeta.
Ancora sul poeta oltre alla già citata lunga introduzione ai suoi versi di Giuseppe Di Costanzo, il saggio di G. Battista Nazzaro, Gaetano Di Maio nel volume “Dibattito col poeta”, Napoli, 1992.
Ernesto Paolozzi