Napoli città aperta al razzismo. 

Napoli non aveva ancora sperimentato lo strisciante razzismo e la dichiarata ostilità per lo straniero che pervade l’Italia settentrionale. L’attacco al campo Rom di Ponticelli e gli incidenti di Pianura, da un capo all’altro della metropoli, la strage di immigrati (forse malavitosi) compiuta dalla camorra a Castel Volturno e la susseguente violenta rivolta degli immigrati ci hanno come risvegliato da un sonno in cui tutti eravamo caduti. Si dimostrano all’improvviso false sia la teoria di una Napoli città aperta e tollerante sia l’altra, secondo la quale dalle nostre parti il razzismo è assente semplicemente perché gli immigrati sono pochi ed i lavori duri li fanno ancora i “nostri” (tanto siamo arretrati!). Come degli spettri, compaiono tutti i tragici luoghi comuni che abbiamo imparato a conoscere nei tanti film americani degli anni Sessanta.

La polemica si sviluppa secondo un tracciato usuale che non ci conduce alla comprensione dei termini reali della questione.

Un punto di vista interessante esprime Ugo Piscopo (Il multiculturalismo, ed. Guida) quando parla di ragione assediata: “dall’esterno, sotto sollecitazioni di emotività di massa che si legittimano in nome dell’emergenza (…) e dall’interno da utilizzazioni passive e/o improprie degli strumenti e degli argomenti propri della ragione”.

Sviluppa un ragionamento nel quale il tema è affrontato con intelligenza e originalità e rimarrebbe deluso chi si aspettasse la solita giaculatoria buonista o, all’opposto, le volgari invettive razziste alle quali ci andiamo abituando.

Propone di discutere, e possibilmente abbattere, alcuni idola tipici della letteratura sull’argomento razzismo e, fondamentalmente, pone la questione, di non facile soluzione, del rapporto fra diversità culturali e cultura fondativa del mondo occidentale.

Il nostro punto di vista, quello occidentale, potrebbe ridursi a questa posizione: poiché noi siamo liberali, possiamo accogliere, anzi dobbiamo accogliere, tutte le culture e le religioni, a patto che esse rispettino i principii del liberalismo. Ma, ad approfondire solo un po’ la questione, si scopre che la maggior parte di quelle culture non possono accettare i principii stessi del liberalismo e talvolta nemmeno quello generico della tolleranza. Cosicché torniamo punto e a capo: o il mite liberalismo si trasforma in un’ideologia forte, che tende ad imporre a tutti il proprio punto di vista oppure rischia di trasformarsi in un’ideologia del tutto imbelle destinata ad assumere i netti connotati di quello che oggi si definisce relativismo morale.

I recenti avvenimenti napoletani, e le polemiche nate intorno ad essi, dimostrano come nessuno riesca a sottrarsi alla questione e nessuno possa sentirsi estraneo al problema.

Come comportarsi a livello istituzionale, da intellettuali oggettivamente responsabili dell’opinione pubblica, per uscire dall’assedio? Consentono con Piscopo i magistrati Dario Raffone, Giuseppe Borrelli e Lorenzo Orilia, che affrontano la questione da prospettive tecniche ma di non difficile comprensione e scelgono un punto di vista comune: il richiamo alla Costituzione e ai suoi valori di riferimento. E la nostra Carta ci rinvia a due precisi compiti, il dovere della solidarietà e la tutela della sicurezza di tutti i cittadini.

Un percorso stretto e accidentato fra diritti-doveri difficilmente conciliabili.

Chi soffia sul fuoco per scopi puramente elettorali o per aumentare l’audience, si assume una grave responsabilità, morale e politica. Sono costoro i veri guastatori della nostra civiltà, sia che predichino un astratto umanitarismo per cui il “migrante” ha sempre ragione, sia che predichino una ottusa e talvolta violenta chiusura nei confronti di tutti i diversi, destinata a fallire perché antistorica prima ancora che inumana.

Governare questo processo è difficile ma non impossibile. Le istituzioni devono attentamente contemperare i diritti e i doveri degli italiani come quelli degli immigrati ma, soprattutto chi ha la responsabilità di influenzare l’ opinione pubblica, intellettuali e giornalisti in testa, deve, con umiltà e responsabilità, scegliere la via della ragionevolezza pur sapendo che non sempre paga sul terreno della facile popolarità. Responsabilità grande. Restano, purtroppo, il pessimismo e il timore che sia più facile trovare un equilibrio a livello istituzionale (dal governo agli enti locali) che non nel mediocre mondo della cultura. E così la storia farà il suo corso: la violenza richiamerà la violenza finché, stanchi e impauriti, ci costringeremo a essere ragionevoli se non umani. Cittadini italiani e stranieri, di ogni cultura, di ogni religione.

Ernesto Paolozzi

da La Repubblica -Napoli del 24 settembre 2008                                                                                                                          Repubblica archivio