Là dove finisce il dolore: Silvia Croce su Posillipo.
Là dove finisce il dolore. Posillipo nella letteratura, è il titolo di un appassionato, elegante e sobrio volume di Silvia Croce che si presenta oggi alla Feltrinelli (Chiaia) alle 18 con interventi di Marco Demarco, Carlo Iannello e Titti Marrone
Con stile leggero e colto, in poche pagine, Silvia Croce tratteggia la fortuna di Posillipo e, per esso, di Napoli, nella letteratura mondiale a partire dalle origini greche, dalle leggende omeriche nelle quali forse Ulisse rappresenta “come un simbolo, l’ammiratore perpetuo, prima greco e poi romano, bizantino, normanno, francese , spagnolo, germanico, inglese e americano attratto dalla fama del luogo, dalla dolcezza del clima, dalla serenità della vita, dal desiderio di un incontrastato possesso, a stabilirsi sulle rive del golfo, sui fianchi delle colline, sugli scogli sonanti delle isole” . Dagli anni del Grand tour, a Goethe, che sciolse a Napoli “la sua nordica solennità nella fantastica bizzarria” del popolo napoletano e “nell’armonia naturale di una terra in cui le alte colonne dei templi greci correggevano la distorta visione gotica d’un mondo brumoso”, a Matilde Serao e tanti altri.
Sono pagine, a mio modo di vedere, che dovremmo leggere e rileggere, noi napoletani, facendoci un doppio esame di coscienza.
Il primo riguarda l’incapacità e insensibilità che abbiamo mostrato di avere, già da molti anni, nel prenderci cura delle nostre ricchezze culturali e paesaggistiche. E Silvia Croce non manca, nel suo volumetto, di ricordarlo con pacata ma ferma polemica. L’altro esame, finora non ancora nemmeno tentato riguarda i danni, gravi, arrecati da una certa cultura, quella che Francesco Compagna avrebbe definito “sinistra sociologica” (per distinguerla da quella politica) che, per combattere gli stereotipi della Napoli oleografica, della Napoli della cartolina col pino ed il Vesuvio, ha finito con l’annientare la grande, originale e creativa tradizione culturale napoletana e meridionale.
Silvia Croce ci riporta, per così dire, nella dimensione giusta, nella quale, ad esempio, questo luogo dell’animo che è Posillipo riemerge nella sua più autentica identità storica e letteraria nel senso migliore del termine, come sottolinea Giuseppe Galasso nella sua bella Introduzione. Infatti, scrive nella Postfazione Marta Herling, “la collina di Posillipo diviene -nello scritto di Silvia- spazio della letteratura che ha espresso ed ispirato nel corso dei secoli dall’antichità ai giorni nostri. Ma è anche il luogo che Silvia ha conosciuto a fondo nei suoi anfratti, nelle sue ville, nella sua costa e nel mare, e che apparteneva ai suoi segreti che questo scritto ci rivela.”
Scomparsa da poco tempo, Silvia Croce era la più piccola e la più vezzeggiata delle figlie del filosofo.
Una figura complessa e, per certi aspetti, enigmatica, nella quale ironia e malinconia, prepotente gioia di vivere e “rattenuta passione”, per usare la stessa espressione con cui Gianfranco Contini provò a caratterizzare la prosa di Croce, convivevano connotando la sua originale personalità.
Sia Giuseppe Galasso che Marta Herling ricordano, ad esempio, la sua passione per il cinema e come, sia pure ancora quasi bambina, riuscisse a trasmetterla al vecchio filosofo. Parlando dei progressi compiuti nello studio dalle quattro figlie, con ironica tenerezza, il 2 marzo 1936, all’amico tedesco Karl Vossler, Benedetto Croce scriveva: “Debbo compiere qualche sforzo per non lasciarmi superare da loro. Persino la più piccola mi ha fatto notare l’altro giorno che io non sono abbastanza colto in cinematografia.”
A leggere i Taccuini (una sorta di asciutto diario di lavoro tenuto assiduamente dal filosofo), quasi stupisce la frequenza con la quale il filosofo appuntava le sue passeggiate con Silvia che terminavano quasi sempre con la visone di un film. Croce e il cinema, altro tema poco esplorato : eppure il filosofo riconobbe subito la possibile qualità estetica della nuova arte che si affacciava, ancora incerta, alla ribalta della storia.
Ernesto Paolozzi
Napoli – la Repubblica – 31 gennaio 2014 Repubblica archivi