Verso una nuova Europa che rispetti le tradizioni locali.

Europa si, Europa No. Ecco un modo sbagliato di porre la questione del rapporto fra Italia ed Europa alla vigilia di importanti elezioni che per la prima volta eleggono un parlamento che eleggerà, a sua volta, un presidente dell’Europa. Pochi lo sanno data la disinformazione generale che la battaglia elettorale, demagogica e vuota, ha generato. Complice una stampa che preferisce mettere in risalto le parolacce più che i fatti.

L’elezione di un presidente non più nominato dai governi ma dai cittadini è un piccolo ma significativo passo avanti per costruire quell’Europa dei cittadini che vogliamo si sostituisca all’Europa dei burocrati.

Un’altra Europa, dunque, e non un arretramento dell’Unione europea, come , spesso opportunisticamente, propugnano movimenti di vario genere che speculano sul malcontento e sulle paure.

L’Europa dei diritti.

In un mondo globalizzato, economicamente, culturalmente e socialmente, bisogna imparare a pensare su uno scacchiere più grande.

I diritti. Non è pensabile difendere i diritti sociali e le libertà individuali in un solo paese. Se una azienda di fronte alle proteste dei lavoratori può delocalizzare, andarsene dal suo paese, è evidente che le proteste non serviranno a niente. I diritti si difendono, ormai, su vasta scala. Perfino l’Europa, fra America, Cina e India appare piccola. Partiti e sindacati devono, dunque, europeizzarsi, diventare sempre più transnazionali.

Il mercato. Non è più pensabile reggere la concorrenza dei paesi extra europei se non si costituisce un vero mercato unico dell’Europa, sempre più libero in una cornice di regole ( a cominciare dalle regole della concorrenza) di civiltà che devono distinguerci da altre realtà in rapida quanto incontrollata e pericolosa crescita.

In questo quadro è necessario che i nuovi europeisti accelerino i processi di integrazione: a partire dalla politica energetica a quella della difesa, dalle politiche ambientali a quelle fiscali.

Più Europa, dunque. Meno Europa se, invece, pensiamo alle tante regole astratte che hanno lasciato proliferare una burocrazia in questi ultimi anni nei quali ci si è allontanati dallo spirito europeista nato dopo la tragedia della seconda guerra mondiale. Una nuova Europa che rispetti le tradizioni locali, che non invada, ad esempio, la sfera dell’istruzione, della cultura, giacché ogni popolo, ogni nazione, ha il diritto e il dovere di preservare l’identità e la tradizione e la creatività dei suoi cittadini.

Votare, dunque, oggi pensando alle polemiche interne al nostro paese sarebbe un grave errore. Gravissimo. Queste elezioni non sono una resa dei conti fra i nostri partiti e movimenti. Non è il momento di fare “dispetti” elettorali, “sfogare “ o “schiaffeggiare”. I nostri risentimenti passano, la rabbia sbolle ma l’Europa va avanti per i prossimi cinque anni. Ed è in Europa che si costruisce il nostro futuro, il nostro presente. Indebolire l’Italia equivale a fare un piacere a quelle forze politiche che vogliono che tutto rimanga uguale.

Battaglia sull’Euro.

In ultimo una riflessione sull’euro. Forse ( ma io ritengo di no) si poteva non aderire alla nuova moneta. Certamente si poteva negoziare meglio il passaggio dalla lira alla nuovo euro. Ma sarebbe una catastrofe abbandonare ora la moneta europea. Non sappiamo dire con certezza quale sarebbe il contraccolpo sui nostri risparmi. Quanto si perderebbe. Ma è certo che i risparmi degli italiani sarebbero fortemente decurtatati. Con una moneta più debole dell’Euro potremmo esportare meglio i nostri prodotti ma pagheremmo così care le materie prime, a cominciare dal petrolio, dalla benzina, da non riuscire a prevedere l’entità dei danni.

Giocare sulla nostalgia degli italiani, sulle paure delle massaie è un gioco al massacro. Chi propone l’uscita dall’euro lo fa perché spera e sa che ciò non accadrà. Pensa esclusivamente a lucrare voti sulla buona fede dei tanti che hanno subito la crisi attuale dalla quale, peraltro, si sta finalmente uscendo. Non è questa la buona politica.

Interrompere ora, dopo cinque anni di crisi la via della ripresa sarebbe un atto di infantilismo politico che pagheremmo con una nuova, più dura crisi. Approfittiamo, invece, dell’occasione elettorale per ripensare l’Europa, per chiederci, ad esempio, se con il tempo non si possa e debba ridisegnare la geopolitica europea. Guardare al mediterraneo, ai paesi non europei che si affacciano sul “mare nostro” che vivono una nuova seppur difficile stagione come ad una opportunità e non come ad una minaccia. Una opportunità soprattutto per l’Italia e per il sud d’Italia. Nord e sud e non solo ovest ed est.

Proviamo, insomma, a costruire un’Italia più libera in una Europa più libera.

Ernesto Paolozzi

Da “Il Brigante”, n. 37, maggio 2014